Odìsseo
(gr. Odusséus, lat. Odysseus/Ulixes)

Caratteristiche e genealogia
Uno dei più celebri eroi greci, protagonista del poema omerico Odissea e personaggio ricorrente nella letteratura tragica e non solo (le sue particolari caratteristiche ne fecero ben presto un personaggio-simbolo, che trovò diffusione in ogni genere di letteratura). Re di Ìtaca, figlio di Laerte e di Anticlèa, figlia di Autòlico, a sua volta figlio di Ermes, ascendente divino di cui Odisseo eredita non pochi tratti caratteriali. Le testimonianze postomeriche ne fanno talora un figlio dell’astuto Sisifo, che avrebbe ingravidato Anticlea un giorno prima del suo matrimonio con Laerte (per esempio Virgilio, Eneide VI 529; Ovidio, Metamorfosi XIII 31 s.: il motivo risale probabilmente ai Canti Ciprii, poema del Ciclo omerico). In tutta la letteratura greca – e non solo – Odisseo è per eccellenza il polúmetis, l’uomo «molto astuto», maestro di inganni, menzogne e raggiri, in tutto rispondente al tipo del trickster (il ‘briccone’ rituale), come del resto il nonno Ermes. Il primo verso dell’Odissea lo immortala come polútropos, aggettivo notoriamente ambiguo che può significare tanto «molto versatile» quanto «costretto a molte diversioni», e cioè «sballottato dalla sorte».

Etimo del nome
Il nome di Odisseo è variamente spiegato già da Omero, e spesso è alla base di giochi di parole che sottolineano i due principali aspetti della sua figura: secondo il celebre flash-back di Odissea XIX 406 ss. sarebbe stato il nonno Autolico a battezzare il nipote, perché adirato e colmo d’odio (sentimenti espressi dal verbo greco odússomai) contro molti uomini; ma lo stesso verbo può avere valore passivo e indicare l’odio di cui Odisseo si trova a essere oggetto: in particolare l’odio di Poseidone, che determina gran parte delle sue avventure e delle sue dolorose peripezie, secondo il tipico motivo del dio persecutore e dell’eroe perseguitato (lo stesso che sottende la vicenda di Era ed Enea o di Era ed Eracle).

Odisseo prima dell’Odissea
A partire dagli antefatti della guerra troiana, Odisseo si propone come colui che con il suo ingegno e la sua astuzia (la sua mêtis) è in grado di risolvere circostanze problematiche in cui poco potrebbero la forza bruta o la mera autorità: è lui infatti a suggerire a Tìndaro, padre di Elena, di vincolare i pretendenti con un giuramento di mutua assistenza che impedisca lotte intestine e contrasti fra gli eroi. In cambio, Odisseo ne ottiene aiuto nella sua aspirazione alla mano di Penelope, figlia di Icario. Una tradizione concorde vuole che Odisseo, giunto il momento di obbedire al giuramento da lui stesso suggerito, e di prestare man forte a Menelao dopo il rapimento di Elena da parte del troiano Paride, abbia tentato di sottrarsi all’impegno; un oracolo gli aveva infatti rivelato la durata ventennale del suo viaggio. Allora Odisseo si finse pazzo, assumendo un abbigliamento inconsulto (in particolare un bizzarro copricapo) e trascorrendo il suo tempo ad arare la spiaggia con un aratro trainato da un bue e da un cavallo. In questa circostanza Odisseo sarebbe stato smascherato da un altro celebre trickster della tradizione greca, Palamède: questi avrebbe posto il piccolo Telèmaco – nato dal matrimonio con Penelope – dinanzi all’aratro di Odisseo, che si fermò immediatamente; oppure, secondo altre fonti, avrebbe finto di voler ferire Telemaco, suscitando il rapido intervento del padre. In entrambi i casi, Odisseo avrebbe tradito il carattere fittizio della propria pazzia. Terribile fu comunque la vendetta su Palamede: accusato da una falsa lettera e da un mucchio d’oro che era stato nascosto nella sua tenda – il tutto orchestrato da Odisseo – l’eroe finì lapidato per sospetta connivenza con il nemico Priamo (ovvero fu ucciso da Odisseo e da Diomède, secondo una variante del mito).

Appartengono alle vicende anteriori alla guerra di Troia anche la caccia al cinghiale narrata in Odissea XIX 413 ss. (in quella occasione Odisseo fu lievemente ferito: è la cicatrice il segno di riconoscimento grazie a cui la nutrice Euriclèa scoprirà la sua vera identità), il viaggio a Cipro per convincere il re Cìnira a prender parte al conflitto contro i Troiani (anche in questo caso l’ingannatore Odisseo sarà ingannato dall’invio di 49 navi costruite in argilla, e quindi destinate a sciogliersi durante il viaggio), l’incontro con Ìfito, dal quale Odisseo ricevette il grande arco con cui in séguito ucciderà i Proci, e infine lo stratagemma con cui l’eroe – lui stesso aspirante disertore – smaschererà Achille nascosto fra le figlie di Licomède, re di Sciro, per sottrarsi alla guerra di Troia.

Odisseo a Troia
Nella città asiatica Odisseo giunge con un contingente di dieci navi ed è da tutti riconosciuto come uno dei più saggi e autorevoli consiglieri degli Achei. Egli partecipa all’ambasceria che tenta di piegare la volontà di Achille (Iliade IX), si segnala nella battaglia di Iliade XI, affronta senza disonore Aiace in Iliade XXIII, durante gli agoni che animano il funerale di Patroclo; secondo la tradizione canonizzata nel Filottete di Sofocle, è Odisseo che, verso la fine della guerra, con l’astuzia costringe Filottete a ritornare da Lemno al campo acheo, in ottemperanza all’oracolo che dichiara indispensabili le armi di Eracle (in possesso appunto di Filottete) per la vittoria dei Greci. Poco spazio concede Omero al racconto delle numerose sortite che, grazie alla sua astuzia, Odisseo avrebbe compiuto oltre le linee nemiche: egli vi si introduce travestito da mendicante (lo riconobbe la sola Elena, che all’episodio accenna in Odissea IV 240 ss.) per osservare le difese dei nemici; in seguito, vi ritorna insieme a Diomede, per sottrarre ai Troiani il Palladio, la sacra statua di Atena donata da Zeus a Ilio e posta a difesa di Troia: e poco mancò che i due eroi si uccidessero a vicenda per ottenere il merito dell’impresa. Odisseo e Diomede sono compagni anche nella cosiddetta Dolonia, il libro X dell’Iliade: inviati nel campo nemico per spiarne le mosse, i due eroi si imbattono nel troiano Dolone, anch’egli impegnato in un’azione di spionaggio; il nemico sarà ucciso nonostante le informazioni da lui fornite, sulla base delle quali Odisseo e Diomede si accaniranno sul contingente dei Traci dormienti (è questa la trama della tragedia pseudo-euripidea Reso).

Non è narrata nell’Iliade, ma è data per nota dall’Odissea e raccontata per esteso da Virgilio, la più celebre delle imprese troiane di Odisseo: la trovata del cavallo ligneo che, su suo consiglio e sotto la sua direzione, i Greci riusciranno a introdurre dentro le mura di Troia, causandone la definitiva caduta. È proprio in virtù della sua astuzia – più che del suo valore guerriero – che subito dopo la morte di Achille, Odisseo prevale su Aiace nella contesa per le armi appartenute al valoroso eroe: essa, decisa da un collegio giudicante in cui risulta fondamentale il voto di Atena, si risolve con una vittoria di Odisseo che causerà la pazzia di Aiace e che nella tradizione posteriore diverrà l’emblema del confronto fra virtù eroica e cavillosa, se non pusillanime, astuzia.

Il viaggio verso Itaca
Dopo la partenza di tutti gli eroi dalla città abbattuta (argomento dei cosiddetti Nostoi epici, i «Ritorni», parte integrante del Ciclo), Odisseo dovette peregrinare per dieci anni prima di tornare a Itaca. È questo, come si sa, il soggetto dell’Odissea, dove gran parte delle avventure occorse all’eroe sono narrate in analessi durante la permanenza presso la corte di Alcìnoo, re dei Feaci e comprendono: l’arrivo alla terra dei bellicosi Cìconi, l’incontro con i Lotòfagi; la prigionia presso l’antro del ciclope Polifemo, che Odisseo accecherà, dopo la morte di sei dei suoi compagni, ricorrendo al vino e al ben noto trucco del falso nome ‘Nessuno’ (Útis in greco); l’ospitalità concessa dal dio dei venti Eolo e l’incauto gesto con cui i compagni di Odisseo aprono l’otre dei venti, causando una nuova perdita della rotta; lo scontro con i Lestrìgoni, che uccisero gran parte dei suoi compagni e distrussero tutte le navi tranne una; l’approdo alla terra della maga Circe, che trattenne Odisseo per lunghissimo tempo, dopo aver tramutato i suoi compagni in porci; la discesa all’Ade per incontrare l’indovino Tiresia e interrogarlo sul séguito del proprio viaggio (in tale circostanza Odisseo incontra anche la madre Anticlea, di cui ancora ignora la morte, nonché Agamennone, Achille e Aiace); il difficile incontro con le Sirene, al cui canto Odisseo resiste facendosi legare dai compagni, opportunamente dotati di cera per turarsi le orecchie; la sacrilega uccisione di alcune vacche appartenenti a Elio, da parte dei compagni di Odisseo, che muoiono tutti durante la bufera marina scatenata per vendetta da Zeus; infine, dopo il superamento di Scilla e Cariddi, Odisseo giunge a Ogìgia, dove per lunghissimi anni resterà ospite della ninfa Calipso, che gli promette l’immortalità per indurlo a rinunciare al ritorno. Ma Odisseo intende fermamente ritornare, e la sua prima apparizione nell’Odissea (libro V) lo raffigura malinconico in riva al mare, bramoso della patria e della sposa. Lasciata Calipso, Odisseo soggiornerà appunto presso i Feaci di Alcinoo, ai quali terrà nascosta il più a lungo possibile la propria identità: è questo un motivo che, come è stato spesso rilevato, accompagna tutto lo svolgimento dell’Odissea, un poema che sembra giocare con le molte identità assunte via via dall’eroe, prima che sia recuperata una volta per tutte la sua vera identità di re, padre e marito. Durante la sua permanenza presso Alcinoo, Odisseo rifiuta la mano della principessa Nausìcaa: e dopo il lungo racconto delle proprie passate avventure, ottiene il permesso di andarsene, scortato e opportunamente rifornito dai Feaci.

Il ritorno a Itaca
A Itaca Odisseo giunge assumendo naturalmente una falsa identità, su consiglio di Atena, la dea che per tutto il corso della vicenda ha vegliato sulla sua sorte: è all’apparenza un mendicante girovago quello che si presenta al porcaro Eumèo, a Telemaco, a Penelope, agli stessi pretendenti alla mano di Penelope (i cosiddetti Proci), che durante l’assenza di Odisseo hanno affollato la sua casa e consumato impunemente i suoi beni. Solo la schiava Euriclea, sua nutrice, riconoscerà Odisseo a partire dalla cicatrice sopra menzionata: ma il re le impone il silenzio minacciandola di morte. In una serie di progressivi ‘riconoscimenti’ che manifesteranno la vera identità del mendicante prima a Eumeo, poi a Telemaco e infine a Penelope, Odisseo riuscirà a organizzare la sua vendetta: oltraggiato e maltrattato in quanto girovago dagli alteri Proci, egli parteciperà alla gara dell’arco bandita, su consiglio di Odisseo, da Telemaco (la prova consiste nel tendere l’arco donato a Odisseo da Ifito, e nel centrare con una sola freccia gli occhielli delle asce sospese alla sala del banchetto). Nessuno riuscirà nell’impresa, e quando verrà il turno del mendico, egli si manifesterà orgogliosamente quale Odisseo, sterminando, con l’aiuto di Telemaco, di Eumeo e del capraio Filèzio, tutti i Proci. Solo Penelope resterà lungamente incredula sulla sua vera identità: Odisseo la convincerà rivelandole un dettaglio della costruzione del loro talamo che solo il marito avrebbe potuto conoscere. L’Odissea termina con i patti di pace che Odisseo stipula, su consiglio di Atena, con i parenti dei Proci uccisi.

Odisseo dopo l’Odissea
Il séguito delle avventure attribuite all’eroe è soltanto prefigurato da Tiresia, che nella profezia rivolta a Odisseo prevede ancora lunghi viaggi, condotti sino al limite del mondo (miti posteriori gli attribuiscono la fondazione di Lisbona), e quindi una morte serena e tardiva, che avrebbe colto Odisseo ormai anziano, regnante su un popolo ricco e felice. Ben altra storia era affidata alla Telegonia, poema del Ciclo epico: in esso Telègono, figlio di Odisseo e di Circe, approdava a Itaca e inconsapevolmente uccideva il padre, da lui non riconosciuto. Telegono non è del resto l’unico figlio illegittimo attribuito a Odisseo: all’unione con Circe Esiodo attribuiva addirittura un parto triplice (Teogonia 1011-1016 fa i nomi di Agrio, Latino e Telemaco: è interessante il nome di Latino, che in Plutarco diventerà addirittura Romano), mentre una tradizione posteriore attribuisce ai due anche una figlia, Cassìfone, che avrebbe sposato e poi ucciso il fratellastro Telemaco; secondo Apollodoro (Epitome 7, 34 s.), nei suoi viaggi Odisseo sarebbe giunto in Epiro, generando da Callidìce, regina dei Tesproti, Polipète. La tragica avventura che vede Telegono uccisore del padre è invertita da quella che vede Odisseo uccisore inconsapevole di Eurìalo, un figlio illegittimo avuto da Evippe, figlia del re epirota Tirimma.

Fortuna del personaggio
Figura destinata a un’immensa fortuna letteraria, Odisseo non godrà di buona fama presso i tragici (tanto Sofocle nel Filottete, quanto Euripide nell’Ifigenia in Aulide e nell’Ecuba, ne enfatizzano i tratti di astuto, vile e spregiudicato ingannatore; nell’Aiace di Sofocle egli è tuttavia il solo a sostenere la causa di Teucro, che vorrebbe vedere onorevolmente sepolto il fratellastro, che di Odisseo fu acerrimo rivale); con le filosofie tardo-classiche ed ellenistiche Odisseo diventerà l’emblema dell’intelligenza e della determinazione, secondo una linea che sarà sviluppata dai cristiani e farà dell’eroe il simbolo dell’uomo che resiste alle tentazioni mondane. Ben noto al Medioevo – basti citare l’Inferno dantesco (canto XXVI), dove Odisseo è condannato quale consigliere fraudolento, ma anche celebrato quale uomo ansioso di sapere – Odisseo è oggetto di continue rivisitazioni in età moderna e contemporanea: dal Troilus and Cressida di W. Shakespeare (ca. 1603) alle Aventures de Télémaque di Fénelon (1699/1717), dalle liriche di U. Foscolo, A. Tennyson, G. Pascoli, G. D’Annunzio, G. Gozzano, G. Ungaretti e U. Saba, sino a quelle di C. Kavafis, G. Seferis ed E. Pound. La riscrittura più celebre rimane tuttavia quella di J. Joyce, Ulysses (1922), mentre vale la pena menzionare l’analisi che dell’episodio del Ciclope – e della particolare astuzia linguistica messa in opera da Odisseo – hanno fornito i due sociologi e filosofi della ‘scuola di Francoforte’ M. Horkheimer e T.W. Adorno nella loro Dialettica dell’Illuminismo (1944): Odisseo vi diviene il simbolo della dialettica infinita (tipicamente capitalistica) e del suo spirito distruttivo.

[Federico Condello]