Nutrice

In greco esistono vari termini con cui si indica questa figura: títthe (o titthé, tithéne, tithenós, tithenetér, tithenéteira, cfr. títthos, ou «seno, mammella»), trophós (i cui compiti cominciano propriamente dopo lo svezzamento), méter, maîa, «mammina»; in latino si usa sostanzialmente nutrix, talora mater (cfr., per esempio, Plauto, Menaechmi 19).

In Grecia era costume diffuso, seppur non regola generale, che le famiglie abbienti lasciassero allevare i propri figli alle balie, i cui compiti prevedevano l’allattamento, la cura e l’educazione del bambino. La nutrice veniva selezionata dunque con grande attenzione e doveva possedere una serie di requisiti indispensabili: buon carattere, pulizia, giovane età (20-30 anni), buona conformazione fisica, possibilmente nazionalità greca (ambite in particolar modo erano le balie spartane per i loro severi metodi educativi). Durante il periodo dell’allattamento la sua condotta era inoltre sottoposta a una rigida disciplina, che prevedeva esercizi fisici e una dieta rigorosa. Denaro, generi alimentari (cfr. Plauto, Truculentus 903), vestiti costituivano la ricompensa prevista per tale prestazione professionale: si trattava in sostanza di un vero e proprio rapporto di lavoro, che in quanto tale era regolato, come documentano i papiri, da una normativa ben precisa.

Nel mondo latino la situazione è pressoché identica. Se in epoca repubblicana le madri preferivano quasi sempre allattare personalmente i propri figli, in età imperiale, invece, le famiglie agiate li affidavano volentieri alle cure delle balie, scelte per lo più tra le schiave greche, in modo tale che i bambini potessero apprendere la lingua straniera.

Nell’antichità le nutrici sono state spesso oggetto di biasimo e di critiche: tra i rimproveri più frequenti quello della golosità, della mancanza di intelligenza, dell’opportunismo. Il rapporto tra nutrice e alumnus era tuttavia, non di rado, forte e sincero: basti pensare alle tante iscrizioni funerarie che esprimono riconoscenza e affetto per la balia, oppure alla nutrice di Odisseo, Eurìclea, che terminate le sue mansioni resta nella casa del padrone, dove invecchia rispettata e onorata; o, ancora, al ruolo di confidente attribuito alla figura della nutrice nel teatro tragico, soprattutto euripideo (cfr. la nutrice di Medea nel drammma omonimo, quella di Fedra [Ippolito], di Ermìone [Andromeda], ma anche Cilìssa nelle Coefore eschilee; la nutrice di Deianìra nelle Trachinie di Sofocle etc.).

Che la balia rivestisse una funzione sociale considerevole è provato, infine, dalla frequenza con cui tale tipo compare anche nell’arte figurativa, dove si lascia facilmente riconoscere per l’aspetto di donna anziana, spesso seduta con in grembo un bambino e in testa un fazzoletto.

Talora viene rappresentata vicino alle eroine tragiche del mito, ed è contraddistinta occasionalmente da tratti caricaturali. Questo carattere riveste un ruolo parimenti importante nella produzione comica. Qui però – si pensi soprattutto al mimo, alla commedia nuova e alla commedia latina, dove il personaggio acquista un rilievo notevole (rendendo infatti possibile l’anagnorismós gioca un ruolo determinante per lo sviluppo dell’intreccio) – la nutrice può assumere, con deformazione tipica del genere, le sembianze di vecchia ubriacona (cfr. Menandro, Samia 86 ss., fr. 412 Kassel-Austin, Plauto, Aulularia 354-356, Casina 638), avida di denaro, e la sua figura in alcuni casi può assimilarsi a quella della lena (cfr. la mezzana in Plauto, Curculio 76 ss. e 96 ss., Mostellaria 157 ss., ma già Aristofane, Ecclesiazuse 1112 ss., Rane 513 ss., Tesmoforiazuse 504 ss.).

Il teatro classico europeo mutuerà il personaggio della nutrice dal teatro antico (cfr. la Fedra di J. Racine; la mezzana Frau Marthe nel Faust di Goethe, Gora nella Medea di F. Grillparzer).

[Elena Esposito]