|
Competizioni atletiche
Definizione
Una delle forme fondamentali in cui si esplica l’agonismo greco, accanto alle competizioni poetiche e alle rivalità ideologiche che animano la vita politica della città. In origine esclusivamente connesse allo stile di vita dell’aristocrazia e concepite probabilmente come attività di preparazione alla guerra (o come suo sostituto in tempo di pace), esse poterono contare in seguito su una più solida e diffusa organizzazione, che comportò tanto la creazione di apposite infrastrutture per la preparazione e l'allenamento (i ginnasi), quanto una progressiva regolarizzazione delle occasioni e delle modalità in cui poteva esplicarsi l’agonismo sportivo.
Come è stato più volte osservato, se le competizioni atletiche sono una realtà ben nota alle civiltà mediterranee pre-greche, solo in Grecia lo sport divenne per la prima volta un fenomeno di massa, istituzionalizzato, regolarizzato e calendarizzato, oggetto di autentico fanatismo pubblico e spesso di celebrazione letteraria (basti citare il caso di Pindaro). Il fenomeno resterà sostanzialmente senza paralleli sino al secolo XX, quando tuttavia esso si presenterà sotto veste laica (non perciò apolitica): in Grecia, invece, la competizione sportiva mantiene per lo più un marcato carattere religioso e festivo, rientrando a pieno titolo nella categoria del rito.
Specialità
Sin da Omero, tre appaiono le specialità dominanti dello sport antico: l’ippica, l’atletica leggera e l’atletica pesante. Tale tripartizione resterà sostanzialmente invariata per tutto l’arco dell’età antica, compreso l’agonismo romano.
Le corse equestri sono una tipica manifestazione sportiva dell’aristocrazia, che ha nel cavallo uno dei suoi fondamentali status symbol. Omero conosce il tiro a due (si vedano i giochi per i funerali di Patroclo in Iliade XXIII), mentre l’età arcaica svilupperà corse equestre con carri trainati da quattro cavalli. La distanza della gara era variabile: i calcoli dei moderni si assestano su cifre comprese fra 1,5 e 14,5 chilometri. Ad essere premiati, in tutti i più importanti agoni equestri della grecità, non erano i fantini ma i proprietari del carro e dei cavalli.
L’atletica leggera comprendeva le specialità della corsa e del pentathlon. La corsa poteva svolgersi su distanze variabili (200 o 400 metri per lo più), mentre il pentathlon – considerata la più nobile e completa delle attività sportive – si articolava in cinque discipline: la corsa (lo stadio, ovvero i 200 metri piani), il salto in lungo, il lancio del giavellotto, il lancio del disco (noto già a Omero e felicemente praticato da Odisseo in una gara presso la corte di Alcinoo) e la lotta. Vincitore era considerato chiunque avesse la meglio in tre delle cinque gare, benché gli esatti regolamenti delle competizioni siano ancora discussi.
L’atletica pesante comprendeva invece la lotta, il pugilato e il pancrazio (quest’ultimo era una sorta di sintesi fra le prime due specialità). Assai più cruente che ai giorni nostri (gli incontri si concludevano non di rado con ferimenti gravi, se non mortali), tali attività non prevedevano né divisioni in rounds né suddivisioni in categorie di peso.
La preparazione atletica Il mondo eroico riflesso in Omero prevede ancora che lo sport sia esclusivo appannaggio degli aristocratici, gli unici in grado di sostenere le spese per la preparazione atletica e di avere a disposizione sufficiente tempo libero. Ma, nel corso del VII secolo a.C., le poleis cominciano a dotarsi di apposite infrastrutture pubbliche, i ginnasi (termine imparentato con il nostro «ginnastica»), che in breve tempo divennero parte integrante dell’urbanistica classica greca e romana.
È stato ipotizzato che una simile diffusione delle strutture sportive sia da mettere in relazione con il fenomeno dell’oplitismo, che cominciava a coinvolgere ampi strati della popolazione nell’attività della guerra (prima appannaggio dell’aristocrazia) e che quindi richiedeva una diffusa e generalizzata preparazione fisica. È probabile che inizialmente il ginnasio fosse aperto soltanto alle classi medie e medio-alte, e si discute sull’effettivo accesso della più umile popolazione suburbana e contadina a tale istituto. In ogni caso, con la nascita del ginnasio lo sport diviene parte integrante del sistema educativo antico, attivato sin dal livello elementare con una scansione in classi di età che comprendeva paîdes (fino ai 14 anni), épheboi (dai 15 ai 20) e ándres (oltre i 20). I ginnasi erano probabilmente alimentati secondo le tradizionali vie del finanziamento ‘pubblico’ greco: la liturgia (contribuzione imposta ai cittadini più ricchi) e il donativo privato. La loro presenza non esclude che le classi più abbienti continuassero ad avvalersi di istruttori e allenatori privati, com’è del resto esplicitamente testimoniato, e a più riprese, dagli epinici di Pindaro.
Le gare Sia a livello locale che a livello panellenico, il mondo greco – e al suo séguito il mondo romano – conosceva un alto numero di competizioni sportive. Le più importanti fra di esse erano quelle comprese nella cosiddetta períodos («circuito»), ovvero i giochi Istmici, i giochi Pitici, i giochi Nemei e le Olimpiadi.
Tale sequenza corrispondeva agli «agoni sacri» per antonomasia, che coinvolgevano atleti provenienti da ogni angolo della grecità e avevano una risonanza pressoché panellenica. Il vincitore di un’intera períodos era detto periodoníkes, il più prestigioso fra i titoli sportivi.
I giochi Istmici si tenevano sull’istmo di Corinto, presso il santuario di Poseidone, verso la fine di aprile, con cadenza biennale. I giochi Pitici si tenevano a Delfi, presso il tempio di Apollo, verso la fine di agosto, con cadenza quadriennale. I giochi Nemei si tenevano nella valle di Nèmea (nel Peloponneso settentrionale), presso il tempio di Zeus, verso la fine di luglio, con cadenza biennale (il secondo e il quarto anno di ogni Olimpiade). Infine le Olimpiadi, che erano senza dubbio il più celebre degli agoni sportivi, si tenevano a Olimpia (nell’Èlide), presso il santuario di Zeus, in agosto, con cadenza quadriennale.
Tutte e quattro le competizioni prevedevano gare equestri, atletica leggera e atletica pesante, ma anche competizioni poetiche. Ogni agone della períodos prevedeva come premio una corona (erano detti anche «giochi della corona»): di apio secco per le Istmie (in origine di pino), di alloro per le Pitiche, di apio fresco per le Nemee, di oleastro per le Olimpiadi.
Con l’eccezione di queste ultime (per le quali la tradizione fornisce la data del 776 a.C.), tutti le altre gare sacre vennero fondate o rifondate nella prima metà del VI secolo a.C. (le Pitiche nel 586 o 582 a.C., le Istmie nel 580 a.C., le Nemee nel 573 a.C.). Il successo di un atleta corrispondeva al successo di un’intera polis, e non sorprende che gli agoni panellenici imponessero una tregua generalizzata alle attività belliche.
Accanto ai «giochi sacri» esistevano inoltre le numerosissime competizioni locali (spesso connesse all’attività dei ginnasi) e i giochi con premi in denaro (i cosiddetti thematikoì agônes), diffusi al punto di trasformare alcuni atleti in autentici professionisti delle gare più redditizie.
In età ellenistica, e quindi in età romana, il numero dei giochi internazionali andò sempre crescendo (mentre venne meno la fortuna, per esempio, degli agoni Pitici): si aggiunsero fra l’altro le competizioni Aziache (per celebrare la vittoria di Ottaviano su Antonio, nella battaglia di Azio [31 a.C.]) e i giochi Capitolini (creati nel 96 d.C. a Roma, da Domiziano), ma anche un considerevole numero di agoni locali sponsorizzati dai diversi monarchi o dalle leghe cittadine.
Le fonti antiche descrivono la calda partecipazione del pubblico a tutte le competizioni sportive del calendario: un comportamento che ben poco si differenzia dal fanatismo contemporaneo, compresi il fenomeno del tifo e le rivalità acerrime fra città (anche se non va sottovalutato, come a volte accade, il diverso quadro sociale in cui i fenomeni si inseriscono).
È indubbio che, nonostante tale carattere popolare, fu sempre l’aristocrazia – che poteva garantirsi i migliori mezzi e i migliori allenatori – a giocarla da padrona nel quadro degli agoni sportivi greci. Non a caso, il venir meno del fenomeno corrisponde alla progressiva eclissi delle élites cittadine greche, strangolate dalla tassazione imperiale romana, a partire dal III secolo d.C. Il colpo di grazia all’agonistica greca fu inferto poi dal cristianesimo, ostile a quelli che erano, a tutti gli effetti, riti pagani, nonché fomento di entusiasmi irrazionali (su questo punto, la critica cristiana dell’atletismo si salda a una lunga tradizione di critica ‘filosofica’ greca e romana, che si potrebbe far iniziare almeno con Senofane).
[Federico Condello]
|