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Politica
Definizione
Con il termine «politica» (in greco politiké, sottinteso téchne: «[arte o scienza della] politica») siamo dinanzi a uno dei più duraturi lasciti lessicali della Grecia antica: diffuso attraverso il latino in pressoché tutte le lingue occidentali contemporanee, il termine con i suoi affini – avvertono gli studiosi di politica antica – ha subito anche un notevolissimo scarto semantico, sicché appare impossibile rintracciare in Grecia un esatto corrispondente del concetto (esso stesso assai articolato ed equivoco) che per noi si riassume nella famiglia del termine «politica». Siamo insomma dinanzi a quello che alcuni storici delle idee chiamano ‘falso amico’: un termine la cui apparente familiarità nasconde una profonda differenza concettuale e ideologica, che è frutto non tanto di una semplice evoluzione semantica, quanto piuttosto delle mutate condizioni sociali ed economiche in cui una ‘teoria (della) politica’, magari spontanea (quella dell’uomo comune) e non necessariamente scientifica (quella del politologo e del sociologo), ha trovato applicazione.
Sostenere che l’idea di ‘politica’ sia nata in Grecia – è evidente la derivazione del termine dal greco polis, «città» intesa in senso comunitario (civitas, insieme di cittadini) e non puramente spaziale o ‘urbanistico’ – può quindi nascondere una falsificazione assai grave, contribuendo a introdurre un’idea di ‘continuità’ o addirittura di ‘naturalezza’ dove la ricerca storica mostra piuttosto differenze e profonde metamorfosi.
‘Nascita’ della politica
Secondo una linea di studi molto fertile e fortunata, la categoria del ‘politico’ conoscerebbe una vera e propria data di nascita: di essa – si sostiene – non si può parlare in presenza di società gerarchizzate come i regni micenei o comunque fortemente tradizionali come quelle rappresentate da Omero, nelle quali vige una concezione pressoché religiosa del potere, e i diversi aspetti della prassi politica (l’amministrazione, le procedure deliberative, la gestione economica, ecc.) appaiono ancora del tutto irrazionali, spesso indistinti, e comunque conformi a un modello tradizionalistico che produce conservazione anziché crescita e progresso. La categoria del ‘politico’ – con tutto ciò che ne segue o, meglio, l’accompagna sul piano della pratica – emergerebbe soltanto con la polis del tardo arcaismo e della classicità, quando la diffusa crisi delle aristocrazie (spesso attraverso il passaggio, non sempre obbligato, della tirannide) dà origine in molti luoghi a travagliati esperimenti di ‘ingegneria’ istituzionale, che producono una diffusa razionalizzazione dei meccanismi politici (assemblee, tribunali, partizioni amministrative, magistrature, ecc.) e un’immagine complessiva della polis come organismo internamente differenziato e ordinato. Da allora si aprirebbe il campo alla stessa ‘teoria politica’ come àmbito almeno relativamente autonomo.
Le perplessità suscitate da tale prospettiva, e non di rado manifestate dai suoi critici, si possono riassumere nel sospetto che essa promuova ancora, sostanzialmente, un’illusione di ‘continuità’ fra mondo antico (la Grecia ‘razionale’ del mito neoclassico) e mondo moderno, senza peraltro valutare se la categoria del ‘politico’ (non solo in Grecia, ma anche e soprattutto nel mondo moderno e contemporaneo) goda davvero di quella autonomia formale e sostanziale (per esempio dalla categoria dell’ ‘economico’) che una simile prospettiva rischia (o esplicitamente si propone) di attribuirle.
Forme della politica
Se si intende ‘politica’ nel suo aspetto pratico, e se ne evidenzia innanzitutto il carattere di contesa per il potere fra diversi partiti o parti in causa, è evidente che essa data alle più antiche formazioni della Grecia storica: già Omero riflette gli interessi contrapposti di agenti sociali dotati di considerevole autorità e destinati perciò al conflitto (per esempio Agamennone come comandante della spedizione contro Troia e Achille come comandante del proprio esercito ‘nazionale’ [i Mirmìdoni della Tessaglia]; Odisseo come re riconosciuto di Itaca e i Proci come rappresentanti di un’aristocrazia locale che ha diritti e potere propri); molti autori dell’età arcaica, poi, hanno fatto della lotta politica il principale oggetto delle proprie composizioni (per esempio Alceo, Solone, Teognide), dando testimonianza del momento in cui la crisi delle aristocrazie tradizionali sta portando a compimento il passaggio a quelle che saranno le strutture istituzionali e sociali della polis classica. Specialmente in una città come Atene tale evoluzione ha condotto a una diffusa idea di partecipazione del cittadino alle attività della politica.
Se invece ci si vuole riferire alla ‘politica’ come teoria del potere (natura, gestione, ecc.) o delle diverse problematiche inerenti al vivere associato e alla sua regolamentazione, occorre attendere il V secolo a.C. – quando la riflessione sulle modalità governative delle poleis diviene un elemento importante delle ricerche condotte dai sofisti e dallo stesso Socrate – e ancor più il secolo successivo, quando con Platone e con Aristotele può dirsi compiutamente avviato lo studio della polis e delle sue diverse, possibili strutture (è di fatto con tali autori che risulta attestato per la prima volta il termine politiké).
È uso osservare come la politologia antica non abbia mai elaborato una teoria dello Stato, una compiuta disamina dei rapporti fra economia e politica, una consapevole distinzione fra politica ed etica (o addirittura fra politica, etica e psicologia, o fra politica, etica e teoria metafisica): un dato di fatto interpretato da alcuni come ‘lacuna’ (spesso ritenuta sorprendente), da altri come sintomo di una ‘ricchezza’ (spesso fortemente idealizzata) delle civiltà antiche, meno ‘astratte’ e rispondenti a un più diffuso senso della partecipazione e dell’impegno, rispetto alle società moderne e contemporanee.
[Federico Condello]
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