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Roma, pronuncia dell’impero
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Caduto il fascismo e finita la guerra,
la discussione sul problema della lingua doveva riproporsi su basi completamente
rinnovate soltanto negli anni Sessanta; ma due fatti importanti anticiparono
i temi di questa discussione. Il primo è che la Costituzione dichiarò
espressamente, anche se in modo generico, di tutelare le lingue minoritarie.
È sintomatico, d’altra parte, che la Costituzione evitasse
qualunque allusione all’italiano come lingua nazionale, a differenza
ad esempio di quanto avvenne nella Costituzione francese: una reazione
all’enfasi del fascismo in materia di lingua. L’altro evento
è la pubblicazione dei Quaderni del carcere di Antonio
Gramsci (1950), scritti negli anni Trenta ma rimasti inediti, che contenevano
alcune considerazioni molto innovative sulla lingua. Gramsci metteva in
relazione la questione della lingua con i rapporti che si stabiliscono
tra ceti dirigenti e masse, e analizzava i «focolai di irradiazione
delle innovazioni linguistiche», che secondo lui erano la scuola,
i giornali, gli scrittori, il teatro, il cinema sonoro, la radio, le pubbliche
riunioni, i rapporti di conversazione tra i vari strati sociali e i dialetti.
Al tempo stesso, egli vedeva quanto fosse importante per le masse il possesso
della lingua nazionale e pensava che questo possesso potesse essere favorito
da una politica di educazione popolare, ma capiva anche che non si poteva
decidere dall’alto quale lingua diffondere. Tutti questi spunti
saranno alla base delle discussioni dei linguisti negli anni Sessanta.
Intanto una maggiore diffusione della
scuola fa sì che gli analfabeti nel primo decennio del secolo siano
ridotti al 38% rispetto all’80% del 1861. Questo significa che aumenta
il numero degli italofoni. Inoltre, con la prima guerra mondiale, che
ha fatto incontrare soldati provenienti da regioni diverse, si innesca
un processo che prosegue durante la seconda guerra e con le imponenti
immigrazioni dalle campagne alle città e dal Sud al Nord industriale.
Nel corso di questo mezzo secolo si assestano
molti fenomeni della lingua che mostravano prima delle oscillazioni. È
il caso dei plurali femminili in –cia e –gia
che fanno –cie –gie se precede vocale e
–ce e –ge se precede consonante (ciliegie/valigie
e rocce/logge). Si fissano anche certi accenti: si dice rubríca
e non rúbrica, mentre qualche incertezza persiste per
salùbre che spesso viene pronunciato sálubre.
La prima persona dell’imperfetto in –a («io
andava») cade definitivamente. Così Palazzeschi, ripubblicando
nel 1956 Il codice di Perelà (1911), la sostituisce
quasi sempre con la forma in –o («io andavo»).
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