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Roma, pronuncia dell’impero
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La conquista dell’Etiopia
è all’origine anche di un progetto di regolamentazione della
pronuncia ufficiale dell’EIAR, l’ente radiofonico dello Stato.
La radio aveva cominciato le sue trasmissioni nel 1924 e il regime aveva
immediatamente capito quale poteva essere la portata, in termini di propaganda,
di questo mezzo di comunicazione di massa. Stesso discorso vale per il
cinema (nato negli ultimi anni dell’Ottocento e diventato sonoro
alla fine degli anni Venti) e per la stampa, che furono oggetto di particolari
cure e controlli. Cinema, radio e giornali non solo incisero sempre di
più nella vita di tutti i giorni, ma diventarono formidabili mezzi
di diffusione della lingua, superati soltanto in seguito dalla televisione.
La pronuncia adottata dagli speaker della radio, proposta contemporaneamente
anche nelle scuole, poteva ottenere quindi grandi risultati. Ma di quale
pronuncia si trattava? L’intenzione era quella di correggere la
norma fiorentina, consacrata dalla tradizione, ricorrendo alla pronuncia
romana tutte le volte che questa era diversa, soprattutto per l’apertura
o chiusura delle vocali e e o toniche. Quindi, ad esempio,
a lèttera, maèstro, doveva preferirsi
léttera e maéstro, e così a Césare
(s sonora) Cèsare (s sorda). Così
si leggeva nel Prontuario di pronunzia e di ortografia (1939)
di Bertoni e Ugolini, due studiosi che si facevano interpreti del pensiero
di Mussolini sostenendo che la capitale, divenuta il maggior centro della
vita politica e morale d’Italia, doveva essere anche la sede dell’unificazione
della lingua e che quindi la pronunzia romana avrebbe portato la questione
«sopra il piano dell’Impero». A parte la precisa motivazione
politica, la centralità di Roma non fa altro che anticipare la
situazione che si delineerà in modo sempre più chiaro a
partire dal secondo dopoguerra. In questa città, del resto, sede
del governo, si concentrano anche le sedi centrali dei mezzi di comunicazione
di massa in grado di influire sulla lingua e dettarne le principali modifiche:
la radio e la televisione, il cinema e i principali giornali.
I destini imperiali dell’Italia,
che permearono dalla metà degli anni Trenta ogni atto del regime,
furono alla base di una capillare politica di diffusione dell’italiano
all’estero, che si pensava di realizzare potenziando le scuole di
lingua italiana della «Dante Alighieri» e gli istituti di
cultura. Il progetto non era fuori dalla realtà, perché
per l’ultima volta la nostra lingua era in un periodo di espansione.
Non solo si diffondeva nelle colonie e nei territori sottoposti all’amministrazione
italiana, ma si sperava di incrementarlo anche in zone che non erano più
italiane, come Malta, Nizza e la Corsica. L’Italia, del resto, figurava
tra le grandi potenze e l’italiano era ancora una lingua scientifica,
come dimostrano i fisici Fermi e Amaldi che scrivono in questo idioma.
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