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Dalla Crusca alla lingua borghese (Secoli XVIII - XIX)

Anche i secoli XVIII e XIX sono segnati dal dibattito sulla lingua, cioè da un’intensa riflessione su come debba essere la lingua italiana. È opportuno suddividere questo lungo periodo in due fasi: 1) dall’inizio del Settecento alla fine del regime napoleonico; 2) dai primi moti del Risorgimento agli anni successivi all’Unità.

La prima fase è caratterizzata dalla fine del predominio della Crusca e dalla retrocessione dell’italiano di fronte all’affermarsi del francese in tutta Europa. La forte influenza esercitata da questa lingua sulla nostra fu vissuta spesso con fastidio, non essendo più dovuta a motivi culturali come la diffusione dell’Illuminismo, ma all’imperialismo di Napoleone.

Fin dal 1687 il gesuita Dominique Bouhours aveva sostenuto il primato europeo della lingua di Corneille e di Racine, razionale per eccellenza e quindi adatta a trattare tutti i temi della modernità. Ad essa aveva contrapposto l’italiano, idoneo solo alla poesia d’amore e al melodramma, ostile all’ordine naturale della sintassi (che si esprime nella costruzione soggetto-verbo-complemento).

Questa netta presa di posizione è il punto di partenza di tutto il dibattito del Settecento in Italia: da una parte infatti sorge spontanea la reazione contro chi bistratta la propria lingua, nobilitata da un’illustre tradizione letteraria; dall’altra l’insofferenza contro le imposizioni della Crusca, che era rimasta latente per tutto il Seicento, ora si precisa meglio come esigenza di una lingua più duttile e moderna che superi la sintassi del Boccaccio, alla luce anche della nuova filosofia settecentesca e illuministica che insiste sui valori della naturalezza e della ragionevolezza.

I letterati italiani quindi scendono in campo, a cominciare dal bolognese Gian Giuseppe Orsi, che si incarica di rispondere direttamente al Bouhours difendendo l’italiano.