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Al fascismo si devono molti termini burocratici, a cominciare da parastatale (1923), detto di un ente pubblico di cui lo Stato si vale per servizi di carattere nazionale, e dal quale deriva una serie di composti col prefissoide para–. Nel 1934 nasce paramilitare, detto di chi segue i metodi di un organismo militare, come era appunto l’educazione che veniva impartita nelle scuole ai maschi per farne futuri soldati. Parascolastico è ciò che integra l’attività della scuola; di queste attività ‘integrative’ si fece promotore per larga parte il fascismo, che fece dell’istruzione un punto di forza, e creò una serie infinita di attività culturali, sportive e ludiche gestite da organi del partito e intese a inquadrare ogni momento della vita dell’alunno. Alle sanzioni economiche seguite alla conquista dell’Etiopia, Mussolini reagì con fierezza in nome dell’autarchia (< gr. autárkeia, «il bastare a sé stessi», composto derivato dall’unione di auto– e del verbo arkêin, «bastare») per dimostrare che l’Italia economicamente non dipendeva da nessuno. Un altro termine tecnico fu carta, inteso nel senso di «documento» riformatore sul modello della Carta del Quarnaro, redatta da D’Annunzio in occasione dell’istituzione del governo autonomo nella regione di Fiume; nacquero così la «Carta del Lavoro», la «Carta della Scuola» etc. I discorsi di Mussolini, che erano impostati secondo una precisa retorica della persuasione, crearono moltissimi neologismi, tra cui retrogradismo (detto di chi va indietro), che non ha attecchito, e pressappochismo, che invece è rimasto nell’uso corrente, termine con cui veniva bollato fin dal 1922, anno della marcia su Roma, chi faceva le cose con approssimazione e superficialità. I due termini quindi esprimevano bene l’idea che l’attivismo e l’efficientismo erano necessari per rinnovare l’Italia e riportarla ai fastigi di una grandezza passata a cui si ispirava continuamente la propaganda ufficiale. Nel Novecento si ha, infine, un arretramento della posizione di Firenze per cui si affermano parole come stampella al posto di gruccia, colazione contro desinare, castagne arrostite al posto di bruciate. Contemporaneamente entrano nell’italiano molti regionalismi, come la forma di saluto informale ciao, che viene da Venezia all’inizio del secolo, e mugugno, parola genovese onomatopeica che significa sordo brontolio di scontento. La stampa umoristica del secondo dopoguerra diffonde fasullo (che non dà affidamento); racchio (< lat. volg. *raculum, «granello d’uva»), che vuol dire privo di attrattive come è un grappolino d’uva stento e appassito; tardona, donna che vuole apparire giovane. Dalla Sicilia viene nel 1943 intrallazzo («traffico illecito»), mentre da Roma stronzo, termine ingiurioso. A Napoli dobbiamo scippo, il furto realizzato con strappo. Appartengono al gergo bidone, inghippo (che significano «imbroglio») e ganzo, aggettivo che esprime apprezzamento.
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