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Quanto agli scrittori, il problema di che lingua usare non si poneva per i poeti o per quei prosatori come D’Annunzio che optavano per uno stile lirico e musicale, destinato a pochi raffinati lettori; chi invece voleva rivolgersi a un vasto pubblico non poteva fare riferimento alla tradizione, troppo letteraria e staccata dalla vita quotidiana, ma doveva costruirsi un proprio strumento espressivo. Le soluzioni furono diverse, anche se in genere tutti fecero i conti con il dialetto che era in Italia l’unica lingua viva. Se Verga, ad esempio, inventò una lingua che era italiana ma fortemente venata di siciliano, Fogazzaro decise di ricorrere talvolta al dialetto puro nei dialoghi che dovevano riprodurre direttamente la realtà. C’è da dire che un contributo notevole allo svecchiamento della prosa venne dal giornalismo, che dopo l’Unità d’Italia ebbe un grande impulso. Spesso gli stessi scrittori, come Matilde Serao, lavoravano per i giornali e quindi dovevano ogni giorno misurarsi con la necessità di farsi capire e attirare la gente comune con uno stile accattivante. I giornalisti cominciarono quindi a svolgere quel ruolo di creatori di neologismi diventato oggi fondamentale. Essi elaborarono la lingua cosiddetta borghese, di registro medio, adatta alla comunicazione – che è anche la lingua di Pirandello – che contribuì non poco alla diffusione dell’italiano almeno tra quegli strati della popolazione che potevano accedere ai mezzi di informazione. In questo lungo periodo, che comprende il Risorgimento e lo sforzo postunitario per organizzare lo Stato su basi moderne, si osserva un’ulteriore diminuzione dell’importanza dell’Italia a livello europeo, anche nei settori in cui aveva sempre eccelso, le arti e la musica. Un fenomeno che è documentato dallo scarso numero degli italianismi che si diffondono all’estero. Alcuni di questi riguardano ancora la musica e sono esportati da Stendhal, un grande ammiratore del nostro Paese. Si tratta di maestro, libretto, impresario, diva, fiasco. Altre parole che si riferiscono alla realtà italiana vengono conosciute attraverso i viaggi, ad esempio fata morgana, pellagra, confetti (dolci tipici del carnevale romano). Dopo la metà del secolo attraversano le Alpi oltre a risotto, che designa un celebre piatto milanese, anche irredentismo, che indica il movimento politico che si proponeva di liberare le terre soggette all’Austria, mattoide, detto di persona che si comporta in modo imprevedibile, un termine desunto dalla terminologia psichiatrica di Lombroso. Ci sono poi i mali tipicamente italiani come la malaria, malattia endemica delle aree paludose, e la mafia, che in Sicilia si rafforza grazie alla diffidenza nei confronti del nuovo Stato unitario. Per quanto riguarda le caratteristiche della lingua in questo periodo possiamo segnalare alcune incertezze nei plurali dei sostantivi in –co –go (per cui il Manzoni si sente autorizzato a preferire traffichi, mentre nel corso del secolo guadagna terreno la versione con palatale, traffici). Ancora Manzoni, e anche Leopardi e Tommaseo, usano tranquillamente gli per loro (dativo plurale), una forma più spigliata che ora si sta diffondendo sempre di più. Si usa spesso (lo fa, ad esempio, Leopardi) anche il superlativo con l’articolo ripetuto sul modello del francese («l’uomo il più certo»). Al manzonismo si deve la moda di dire «si va» invece di «andiamo», tipica del fiorentino parlato.
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