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Ma forse è più interessante vedere cosa dei tratti regionali è passato nell’italiano standard. Innanzitutto, l’uso di lui e loro per egli e essi, che si è ormai affermato almeno nella lingua parlata, viene dai dialetti settentrionali. C’è poi l’uso dell’indicativo al posto del congiuntivo dopo i verbi di opinione («penso che può andare») che viene dall’Italia centrale e anche dal toscano. Si nota poi un’estensione del passato prossimo a scapito del passato remoto per influenza dell’Italia settentrionale. La coscienza della differenza tra passato remoto (azione compiuta) e passato prossimo (azione i cui effetti durano nel presente) si sa che è solo del toscano. Se si guarda il lessico, i rapporti tra lingue regionali e lingua standard diventano molto più numerosi e complicati. È evidente che il progresso tecnologico porta nuovi termini, mentre ne fa sparire altri che appartenevano alla cultura materiale, alle arti e ai mestieri tipici spesso di una certa zona. Ma è anche interessante vedere le sottili interferenze tra dialetto, italiano regionale e standard: rispetto al termine standard lavorare, chi parla il dialetto dirà nel Nord travajé, nel Sud fatighé, un dialettofono che usa un dialetto italianizzato dirà nel Nord lavuré, un italofono che usa un italiano regionale dirà nel Sud faticare. Come si vede le sfumature possono essere tante. Un altro aspetto del problema è quello dei geosinonimi, termini che usano le varie regioni per indicare lo stesso concetto. Molti di questi si sono imposti sugli altri e sono entrati nella lingua nazionale. È il caso di pizza, che dal Sud si è diffuso in tutt’Italia e anche all’estero, mentre la pasta sottile lievitata e condita in Toscana si chiamava schiacciata e nell’Italia settentrionale focaccia (anche se è vero che la pizza indica una pasta speciale, quella condita con mozzarella e pomodoro, e non ha soppiantato né le schiacciate né le focacce). Formaggio è un termine settentrionale che ha sostituito cacio, di area toscana e meridionale, semplicemente perché la produzione casearia ha raggiunto un’organizzazione di tipo industriale prima nel Nord che altrove. Lo stesso è accaduto per tapparella, altra voce settentrionale, che ha avuto forse più fortuna di avvolgibile e serranda perché nel Nord si trova la maggior parte delle fabbriche di serramenti. Alcuni geosinonimi sono rimasti in particolari espressioni come coda alla vaccinara, un piatto della cucina romana, anche se il vaccinaro, cioè il conciapelli, non esiste più. La parola panetteria, settentrionale, si è estesa nel Centro-Sud e contende il posto a forno. Prosciutto, forma toscana e interregionale, ha sostituito in Piemonte il francesismo giambone. Molto interessante è anche la fraseologia geosinonimica che è difficile spiegare senza ricorrere all’inconscio collettivo e senza studiare la cultura particolare delle varie aree geografiche. Non andare a scuola di nascosto ai genitori è una cosa che fanno gli studenti di tutta Italia, ma ciascuna regione si mantiene fedele a un suo modo di dire: così, per «marinare la scuola» i milanesi dicono bigiare, i toscani far forca, i romani far sega.
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