Balbettii di una lingua
Il primato della poesia
E il fiorentino vince
Le parole







Il primato della poesia
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Nel Duecento abbiamo le prime manifestazioni che pongono le basi per il costituirsi di una tradizione poetica. La preminenza del fiorentino sembra annunciata da alcuni frammenti di un libro di conti di un banco di Firenze del 1211 che mostrano una lingua molto meno rozza rispetto a quella usata in altre zone, già capace di piegarsi alla precisione richiesta dalla terminologia tecnica.

Tuttavia, l’Europa del XII secolo è dominata dalla preponderanza della cultura francese, che si manifesta anche in ambito letterario. In Italia, ad esempio, alcuni scrittori usano il provenzale, come Sordello di Goito, altri il francese come il fiorentino Brunetto Latini (†1294), maestro di Dante. Accanto alla lingua letteraria troviamo il latino, la cui presenza è ancora imponente come lingua della teologia, della scienza e del diritto. La letteratura italiana nasce quando si pensa di trasporre i modi della poesia scritta in provenzale in un volgare italiano. È quanto avviene per la prima volta in Sicilia per volontà di Federico II, geniale uomo politico (a lui si deve un’organizzazione moderna dello Stato ispirata al diritto romano sulla base di una rete di funzionari laici), e insieme promotore audace di cultura, che amava circondarsi di dotti appartenenti anche all’area musulmana ed ebraica. I primi esperimenti di poesia italiana si datano quindi al 1220 e vedono la luce alla corte di Palermo, per opera della cosiddetta «Scuola siciliana», un gruppo di cortigiani che ebbe il merito, a cominciare da Iacopo da Lentini, di dare inizio alla tradizione italiana. La tematica amorosa, che è prevalente, rispecchia l’etica cortese che era alla base della poesia provenzale, mentre la lingua è un siciliano illustre, cioè nobilitato e ripulito delle espressioni più popolari. Una lingua che è stato possibile ricostruire nelle forme originali solo grazie a un attento lavoro filologico, volto a eliminare le ‘‘normalizzazioni’ di copisti toscani sugli originali siciliani.

In Toscana, nel frattempo, ad Arezzo, Lucca, Pisa, Pistoia, Firenze, prosegue l’esperienza poetica dopo la fine del regno svevo (1266). I motivi di questo sviluppo sono essenzialmente due: da una parte i ripetuti contatti che avvengono verso la metà del secolo con la corte palermitana a causa della lotta, particolarmente accanita, tra Guelfi e Ghibellini; dall’altra l’esigenza di una promozione culturale da parte di un ceto ormai affermatosi di artigiani e commercianti, abbastanza colto, ma ignaro del latino. D’altra parte, il siciliano e il toscano appaiono più adatti di altri dialetti alla produzione poetica; presentano entrambi, ad esempio, contrariamente ai dialetti settentrionali, la pronuncia delle vocali finali. La poesia così, dovendo adattarsi a un pubblico comunale, allarga la sua tematica anche a temi non amorosi e usa una lingua che, risentendo delle differenze delle varie città, appare, secondo il giudizio negativo di Dante, «municipale» e rozza.

Questa esperienza viene ben presto superata dal Dolce Stil Novo, una corrente di poesia che nasce con Guido Guinizelli (†1276) a Bologna, città particolarmente vivace sotto il profilo culturale grazie soprattutto alla presenza dell’Università. I suoi continuatori sono invece toscani: tra di essi spiccano Guido Cavalcanti e Dante stesso. La novità del Dolce Stil Novo consiste in un approfondimento psicologico dell’esperienza amorosa, che era tema basilare della scuola siciliana e di quella toscana precedente, a cui corrisponde un affinamento dei mezzi espressivi. Parallelamente (a cominciare dagli anni Sessanta con Rustico Filippi) inizia una tradizione di poesia giocosa che si serve di un lessico concreto e colorito. Ad essa guarderà anche Dante che aveva bisogno di una lingua particolarmente espressiva soprattutto per rappresentare la realtà dell’Inferno. Verso l’ultimo decennio del secolo, Firenze diventa la prima città della Toscana.

 

 
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