Balbettii di una lingua
Il primato della poesia
E il fiorentino vince
Le parole







Balbettii di una lingua

I primi documenti in italiano sono i Placiti cassinesi (960-963), cioè quattro testimonianze giurate che concernono beni del monastero di Montecassino. L’idioma utilizzato è quello dei ducati longobardi di Capua e Benevento dove erano situati questi terreni, ed è di tipo cancelleresco, quindi più stilizzato rispetto alla lingua corrente. Chierici e notai, che conoscevano bene il latino, sono invitati a deporre nella lingua volgare perché possano essere capiti anche dai presenti. Ecco, dunque, l’importanza di questa testimonianza: non si tratta solo dei primi balbettii di una nuova lingua, ma anche della presa di coscienza della distanza che la separa dal latino.

Si potrebbe pensare che, da questo momento in poi, i testi in volgare si moltiplichino senza difficoltà, ma non è così. I due secoli successivi sono contrassegnati da un grande fervore culturale a cui però non fa riscontro un analogo sviluppo della lingua. Dalla Francia l’Italia importa in questo periodo il riformismo monastico e, agli inizi dell’XI secolo, la nuova mentalità cavalleresca; mentre è fondamentale l’influsso degli Arabi nel campo della filosofia e della scienza. Il nostro Paese non solo sviluppa spunti provenienti da fuori – nelle scuole monastiche e abbaziali si approfondisce lo studio delle arti liberali (grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica) e della teologia – ma dà il suo contributo originale nel campo del diritto (ricordiamo le scuole di Pavia, Ravenna e poi Bologna) e nell’architettura romanica (il duomo di Modena, quello di Cremona e quello di Piacenza sono tutti dell’inizio del XII secolo). I testi in volgare risalenti a questo periodo, però, sono molto rari, piuttosto incerti e rozzi: si riducono a due carte sarde e a tre documenti dell’Italia centrale dei quali il più importante è la formula di confessione proveniente dall’abbazia di S. Eutizio vicino a Norcia, che mostra ancora fortissima l’influenza del latino.

Un po’ più numerosi i documenti del secolo successivo – scritture private, inventari, poemetti giullareschi, prose ritmiche di argomento storico-narrativo, prediche – che provengono dall’Italia settentrionale e centrale nonché dalla Campania. Sono testi molto poveri che ancora si rifanno al latino nel tentativo di nobilitarsi. È difficile dare una spiegazione di questo ritardo se si fa un confronto con la situazione di altre aree neolatine. Al XII secolo risalgono infatti La Canzone di Orlando in antico francese, le liriche in provenzale di Guglielmo IX d’Aquitania, Il Poema del mio Cid, primo capolavoro in castigliano, tutte opere precedute nel tempo da una serie consistente di scritti di minore importanza. Una spiegazione può essere rintracciata nel fatto che in Italia si scriveva quasi sempre in latino, la lingua della Chiesa, prevalentemente usata anche nella predicazione.

Per concludere, dai testi di questo periodo non emerge alcun indizio circa le tendenze future, a parte forse la zona di provenienza che può prestarsi a qualche riflessione. C’è però da osservare che tra l’XI e il XII secolo si cominciano a delineare in modo più netto le differenze tra il Nord, dove si sviluppano i comuni, e il Sud che, se nell’anno 1000 è ancora suddiviso tra Bizantini, Longobardi e Arabi, nel XII secolo viene unificato dai Normanni a cui seguiranno nel secolo successivo gli Svevi. Questa situazione politica, che ha anche riflessi culturali, favorirà la Toscana che, grazie anche alla sua posizione geografica, potrà fare da mediatrice tra le due aree con conseguenze fondamentali per il futuro della lingua italiana.