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Tiranno/Tirannide
Definizione
Il termine túrannos è di probabile origine asiatica e compare per la prima volta in un frammento di Archiloco (nella forma dell’astratto turannís, «tirannide»: fr. 19,3 West; incerta ma probabile la presenza del sinonimo turanníe nel fr. 23,20 W.), per poi tornare in Semonide, in Alceo, in Solone, in Teognide.
Si usa sottolineare che il termine è in origine slegato da quella connotazione negativa che ne caratterizzerà l’impiego a partire dal V secolo a.C., indicando in senso neutro un regime monocratico o monarchico quale dovette divenire familiare ai Greci nelle realtà ‘di confine’ delle colonie anatoliche. Va però precisato che già dai testi aristocratici di età arcaica (Semonide, Alceo, Solone) il termine individua un’istituzione connotata in maniera fortemente negativa (più ambigui gli atteggiamenti degli autori confluiti nella Silloge attribuita a Teognide); per converso, un certo uso ‘neutro’ di túrannos e affini non venne mai meno (specialmente in Pindaro, ma anche nei tragici).
Ciò evidenzia l’ambiguo atteggiamento dell’aristocrazia arcaica nei confronti della tirannide: i nobili videro in essa un potenziale pericolo per la propria sopravvivenza castale, ma al contempo non smisero mai di considerare i tiranni come membri della propria classe, quali a tutti gli effetti essi erano.
È soprattutto con la democrazia ateniese del V secolo a.C. che ‘tirannide’ assunse definitivamente quel valore negativo ereditato dalle lingue moderne: e per il demos di Atene il terrore della tirannide dovette costituire una sorta di ‘epidemia’ sociale, se vanno presi sul serio i frequenti strali satirici di Aristofane all’indirizzo di quello che era ormai un semplice spauracchio agitato dalla propaganda democratica radicale, privo di un reale fondamento nelle condizioni socio-economiche della polis matura. Studi recenti hanno comunque rimarcato che i tratti idealizzati (nel bene e nel male) spesso attribuiti al tiranno arcaico, fanno di lui una controfigura del caratteristico ‘eroe’ cultuale: la nascita, gli eccessi, la morte dei tiranni storici furono ben presto avvolti da un’aura di leggenda, che da una parte evidenzia la segreta fascinazione suscitata da tali figure, dall’altra rende assai ardua una ricostruzione attendibile della loro carriera politica.
Interpretazioni della tirannide
Le prime, compiute interpretazioni della tirannide risalgono alla riflessione politica del IV secolo a.C.; Aristotele codificò quattro forme di tirannide: 1) la tirannide come degenerazione dispotica della monarchia tradizionale; 2) la tirannide come presa del potere da parte di un demagògo sostenuto dal popolo; 3) la tirannide come golpe di un magistrato tradizionale; 4) la tirannide come crisi dell’oligarchia, all’interno della quale un singolo assume le competenze che erano di un’élite o di un collegio.
Già Tucidide aveva indicato nella tirannide una tipica conseguenza delle evoluzioni socio-economiche dell’aristocrazia arcaica, mentre la maggior parte degli autori classici (Erodoto, Platone, Isocrate, lo stesso Aristotele) si concentreranno piuttosto su un’interpretazione astratta e spesso moralistica della tirannide, sottolineandone gli eccessi e gli intrinseci difetti.
Gli studiosi moderni hanno via via enfatizzato diversi aspetti della tirannide arcaica, mettendone in relazione l’origine con uno o più dei seguenti fenomeni: 1) la crisi dell’aristocrazia fra VII e VI secolo, determinata dai sempre più frequenti contrasti con il demos e con le istanze egualitarie da questo sostenute; 2) la diffusa crisi agricolo-demografica che attraversa le poleis greche nello stesso periodo, soprattutto a causa dell’estensione del latifondo aristocratico a danno della piccola proprietà terriera; 3) la nascita dell’oplitismo come fenomeno di ‘militarizzazione diffusa’ del demos, maggiormente coinvolto nella gestione politica della città in quanto fondamento della sua nuova organizzazione militare; 4) la diffusione del commercio e della moneta come sintomi di una ‘svolta’ economica che porta alla ribalta nuovi e più dinamici ceti sociali.
Oggi nessuna interpretazione mira più ad assolutizzare uno di tali fattori a scapito di altri, o a ridurre la composita realtà delle tirannidi arcaiche a una spiegazione monocausale. Pare certo che il fenomeno vada inquadrato nel contesto della diffusa crisi che investì l’aristocrazia arcaica fra VII e VI secolo a.C.: il tiranno, per quanto ci consta, è per lo più un membro di quella stessa aristocrazia, che cerca spesso il suo sostegno nel demos e che si presenta (almeno all’apparenza) come un ‘riformatore’. Ma anche questa descrizione del fenomeno non va generalizzata, bensì applicata con flessibilità alle singole realtà storiche; è inoltre evidente che la tirannide non costituisce una fase di passaggio ‘obbligatoria’ fra polis arcaica e polis classica, e che il suo esito – tutte le tirannidi a noi note ebbero una fine violenta – può essere estremamente variabile: dall’aristocrazia moderata, alla restaurazione di un’aristocrazia radicale, sino alla democrazia.
Tirannidi arcaiche
Le tirannidi meglio note della Grecia continentale sono quelle dei Cipselidi a Corinto, degli Ortagoridi a Sicione, di Teagene a Megara, dei Pisistratidi ad Atene.
A Corinto, secondo la tradizione, Cìpselo prese il potere intorno al 660 a.C. a danno dell’aristocrazia dei Bacchìadi, un clan aristocratico particolarmente duro e conservatore; secondo la versione più attendibile, risalente allo storico Eforo (IV a.C.), egli emerse come polémarchos («capo militare») all’interno delle stesse strutture aristocratiche della città: e sarebbe stata una congiura interna alla nobiltà a sostenere il suo golpe (del tutto fantasiose, e segno di una precoce mitizzazione, le leggende raccolte da Erodoto). Dopo ca. 30 anni a lui sarebbe succeduto il figlio Periandro, al potere per 40 anni ca. e noto per i suoi eccessi e per la sua crudeltà: ma anche in questo caso, la descrizione fornitane dagli storici (da Erodoto e da Aristotele in particolare) rischia d’essere il frutto di una mitizzazione posteriore (ivi compreso il motivo del tiranno efferato che succede al tiranno moderato: una costante ripetuta in molti altri racconti, fra cui quello relativo ai Pisistratidi di Atene); esiste del resto una tradizione positiva che fa di Periandro uno dei Sette Sapienti (sorte che toccò anche ad altri ‘tiranni’ o quasi-tiranni di età arcaica, a segnalare l’ambiguità delle tradizioni antiche). Al regno di Cipselo e Periandro si può attribuire una ricca fioritura del commercio, dell’artigianato e dell’urbanistica corinzi, che comunque rappresenta un elemento di continuità, piuttosto che di rottura, rispetto all’aristocrazia dei Bacchiadi: il che mette in guardia contro frettolose caratterizzazioni economiche (i nobili ‘agricoltori’ vs i tiranni ‘commercianti’) della tirannide arcaica. La dinastia dei Cipselidi sarebbe stata ribaltata all’inizio del VI secolo a.C., dopo il breve regno di Psammètico, da una nuova congiura aristocratica che avrebbe dato origine a un’oligarchia moderata.
Intorno al 650 a.C. daterebbe l’avvento degli Ortagoridi a Sicione: anche Ortàgora fu probabilmente un oligarca emerso come polemarco a danno dei suoi compagni di ceto, e caratteri eminentemente aristocratici caratterizzarono il regno successivo di Clistene (primo quarto del VI secolo a.C.), cui si attribuiscono riforme non ancora chiarite (un radicale intervento sullo svolgimento delle competizioni poetiche, per garantirsi il controllo della propaganda politica; una riforma delle antiche tribù cittadine, portate da tre a quattro). L’ultimo degli Ortagoridi, Èschine, venne rovesciato intorno al 550 a.C. da una congiura aristocratica che ottenne il sostegno di Sparta.
Ancor più oscura la tirannide di Teàgene a Megara, databile genericamente alla seconda metà del VII secolo a.C.: il tiranno avrebbe preso il potere in quanto ‘capopopolo’, peraltro colpendo l’aristocrazia in uno dei suoi beni più preziosi, i capi di bestiame che costituivano le fondamenta della Megara agricola e commerciale (esportazioni laniere); ma tutta la vicenda rimane altamente enigmatica, così come non si sa per certo se attribuire al periodo di Teagene, o alla fase ‘democratica radicale’ che Megara visse nel corso del VI secolo a.C., le frequenti lamentele degli aristocratici registrate dalla Silloge di Teognide.
Ad Atene, invece, l’avvento dei Pisistratidi si inserisce organicamente nelle lotte che opposero le diverse fazioni dell’aristocrazia arcaica: si sa che Pisìstrato – che tentò più volte di raggiungere la tirannide fra il 561 e il 546 a.C. – fu a capo dei cosiddetti Diákroi, fazione ‘popolare’ che aveva le sue basi nelle regioni montane a nord di Atene. Ma la caratterizzazione di Pisistrato come ‘demagogo’ può dipendere in larga parte da proiezioni della situazione politica successiva; allo stesso tiranno, rappresentato in genere come moderato, si attribuiscono consistenti riforme politiche, economiche e istituzionali, che egli – nella tradizione – condivide talvolta con Solone e talaltra con Clistene, e che spesso appaiono decisamente anacronistiche (come il presunto sistema di tassazione sui redditi). Si può comunque considerare probabile che Pisistrato abbia fatto compiere decisi passi avanti al sistema della polis, razionalizzandone e migliorandone il fondamento istituzionale. Fortemente avverse sono invece le nostri fonti al suo principale successore, il figlio Ippia (528 a.C.), che governò da solo dopo che il fratello Ipparco fu ucciso in una congiura aristocratica (514 a.C.: ma i due tirannicidi, Armodio e Aristogitone, vennero paradossalmente trasformati in eroi della democrazia in quanto ‘liberatori’ dal tiranno). Pisistrato e i suoi figli si segnalano – come già Clistene di Sicione – per lo spregiudicato e innovativo impiego di media propagandistici alquanto efficaci, quali le competizioni poetiche: all’età di Pisistrato, secondo una notizia che ha suscitato varie discussioni, daterebbe addirittura la prima redazione scritta di Omero (nell’evidente intento di controllare un così cospicuo e tradizionale patrimonio dell’aristocrazia). La tirannide dei Pisistratidi fu definitivamente affossata nel 510 a.C., grazie all’intervento di Sparta, il cui ruolo di ‘gendarme’ aristocratico (e perciò antitirannico) appare a questo punto ben comprensibile.
Tirannidi particolarmente note furono inoltre quella di Polìcrate a Samo (ca. 545-522 a.C.), che ebbe carattere eminentemente marittimo-commerciale e che vide ancora l’intervento bellico, questa volta fallimentare, di Sparta (524 a.C.), o quella di Trasibùlo (contemporaneo di Periandro) a Mileto. Ma tirannidi di varia tipologia dovettero essere diffuse in molte poleis minori dell’età arcaica. Un discorso a parte meritano le tirannidi della Magna Grecia, e in particolare quella dei Dinomenidi a Siracusa, che si sviluppò a partire dal 485 a.C. ca. (dopo esperienze di tirannidi attribuibili a diverse dinastie) e che ebbe caratteri eccezionali rispetto alle tirannidi della Grecia: a cominciare dalla sua lunga durata e dal suo proficuo rapporto con l’aristocrazia locale.
Figure ‘semitiranniche’ (o, con apparente contraddizione nei termini, tiranni costituzionali) possono essere considerati alcuni ‘esimnèti’ di età arcaica: personaggi eletti con pieni poteri per garantire il superamento di guerre intestine fra le fazioni aristocratiche o per avviare progetti di riforma socio-economica ritenuti indispensabili; a queste caratteristiche rispondono Solone di Atene, legislatore e poeta, e Pittaco di Mitilene, il grande nemico di Alceo.
[Federico Condello] |