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Tucidide
(gr. Thoukudídes, lat. Thucidides)
Notizie biografiche
Lo storico Tucidide – considerato da molti, a maggior diritto che Erodoto, «padre della storia» – nacque ad Atene da Olòro, probabilmente originario dell’area trace (egli è omonimo del re che fu suocero del politico e stratega ateniese Milziade), dove peraltro la famiglia di Tucidide aveva notevoli interessi economici (godendo del diritto di sfruttamento delle miniere auree) e cospicue entrature politiche. La data di nascita è incerta: ma, poiché sappiamo che Tucidide ricoprì la carica di stratego nel 424 a.C. - quando non riuscì, con la sua flotta, a soccorrere Amfipoli attaccata dallo spartano Bràsida - egli dev’essere nato prima del 454 a.C. (l’età minima per esercitare la strategia era in Atene fissata a 30 anni) e verosimilmente intorno al 460 a.C. Non merita troppo credito la notizia antica secondo cui Tucidide sarebbe nato nel 471 a.C., perché la data ha tutta l’aria di dipendere dall’identificazione dell’akmé biografica dello storico (cioè del suo momento di massimo sviluppo intellettuale, fissato convenzionalmente sui 40 anni) con l’inizio della guerra del Peloponneso (431 a.C.), oggetto della sua opera storiografica.
Appartenente a una famiglia di tradizione oligarchica moderata, Tucidide fu uno dei tanti uomini che, pur provenendo dall’élite della società ateniese (si ipotizza non senza fondamento un suo legame parentale con Milziade e Cimone), presero parte attiva alla vita politica dell’età periclea, conservando però un certo distacco dall’ideologia dominante della democrazia ateniese (che, per quanto riguarda il periodo di Pericle, Tucidide vedrà bene di definire, con spietata lucidità, una «democrazia solo di nome»). Dopo l’insuccesso militare del 424 a.C. (che dipese in larga parte dalla straordinaria rapidità dello stratega spartano Brasida), Tucidide riuscì a intervenire felicemente per difendere Eione, città prossima ad Anfipoli, anch’essa a rischio di imminente conquista durante la campagna di Brasida. Dalla stessa opera dello storico apprendiamo che egli conobbe l’esilio, di durata ventennale, anche se è difficile appurare cause e destinazione di un allontanamento da Atene che peraltro favorì le ricerche storiografiche di Tucidide; fonti antiche non del tutto fededegne citano la Tracia e l’Italia come luoghi di soggiorno per l’esule. Tucidide poté comunque tornare in patria in virtù di un decreto proposto dal politico Enobio, ed è verosimile che sia morto qualche anno dopo la fine della guerra peloponnesiaca (404 a.C.), che pare nota alla storico sulla base di diversi accenni contenuti nella sua opera. Le testimonianza antiche sostengono ora che egli sia morto ad Atene, ora invece in Italia o in Tracia; certo la sua tomba era indicata fra quelle che in Atene appartenevano alla famiglia di Cimone.
Le Storie
Sotto il titolo generico di Storie, Tucidide ha consegnato ai posteri (quale «opera eterna», secondo le sue stesse parole) uno scritto in otto libri – tale è almeno la suddivisione proposta dai manoscritti medievali – dedicato alla guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), il cui resoconto è preceduto da una sintesi di storia arcaica e classica (la cosiddetta Archeologia) e interrotto all’anno 411 a.C. (un’ipotesi suggestiva ritiene che gli ‘appunti’ tucididei relativi agli anni seguenti siano confluiti nelle Elleniche di Senofonte, forse non estraneo alla stessa redazione attuale delle Storie tucididee). Poiché le fonti antiche sembrano conoscere suddivisioni diverse da quella invalsa nel corso della tradizione manoscritta, i moderni hanno ipotizzato che il disegno originario dell’opera prevedesse una ferma corrispondenza fra anni di guerra e libri, con l’eccezione del primo libro – comprendente appunto l’Archeologia e gli antefatti della guerra peloponnesiaca – che può aver conosciuto una circolazione autonoma.
Quanto alla scelta del tema, i capitoli 1-19 del primo libro, dedicati alla storia greca precedente lo scontro fra Atene e Sparta, chiariscono come la guerra peloponnesiaca sia, secondo Tucidide, la più grande e la più importante fra le guerre combattute dai Greci: la svalutazione – in termini economici e militari – delle guerre persiane (trattate da Erodoto) e della stessa guerra di Troia (narrata nientemeno che da Omero, che Tucidide considera alla stregua di un autentico documento storico da cui trarre dati concreti per via d’induzione) è certo frutto di analisi spregiudicata e di genuina convinzione, ma è anche funzionale all’esaltazione della propria opera storiografica; la quale, nelle pagine proemiali di cui è stato da tempo riconosciuto il carattere polemico, rivendica per sé caratteri di scientificità e di autorevolezza ignoti agli autori precedenti (in particolare alla tradizione della logografia ionica e al diretto predecessore Erodoto) e si propone quale saldo possesso per i posteri, secondo il principio per cui un’analisi delle motivazioni ‘profonde’ dell’agire storico, condotta con criteri razionali, può fare della storia una scienza dotata di autentiche facoltà diagnostiche e prognostiche (nel senso della capacità di ‘prevedere’ il decorso degli eventi).
Rispondono agli stessi intenti l’assoluta esclusione di elementi mitici o favolosi (ancora essenziali nell’opera di Erodoto) e l’esplicita destinazione dell’opera a una fruizione fondata sulla lettura piuttosto che sull’ascolto; questa accentuazione del medium scrittorio è un altro elemento di forte distinzione rispetto all’opera erodotea, ancora in parte destinata a pubbliche letture e quindi a fini edonistici o ‘spettacolari’ che Tucidide sembra escludere programmaticamente (per quanto sezioni isolate delle Storie siano evidentemente adatte, e probabilmente destinate, a una fruizione autonoma).
Al metodo di Tucidide inerisce strettamente un’altra serie di scelte che costituiranno, da allora in poi, altrettanti criteri epistemologici inevitabili per la storiografia scientifica: l’assoluto primato dell’autopsia (la conoscenza diretta) e comunque il vaglio critico e razionale delle testimonianze indirette (esemplare l’uso che Tucidide fa tanto di Omero, quanto della documentazione archeologica); l’intento eziologico (la ricerca, cioè, delle cause ‘profonde’) fondato sul presupposto della costanza delle motivazioni umane (cioè propriamente storiche); ma anche la ferrea selezione di eventi e fenomeni che abbiano dignità e importanza tali da meritare la registrazione in un’opera storica (innanzitutto eventi di carattere politico o militare, con la conseguente esclusione di elementi folcloristici e aneddotici che pure avrebbero grande rilievo sotto il profilo antropologico, e che soltanto la cosiddetta ‘microstoria’ novecentesca tornerà a rivalutare).
Nonostante la programmatica obiettività, a tratti la concezione politica di Tucidide emerge con chiarezza dal testo: ammiratore di Pericle, che seppe contenere il demos entro limiti tali da configurare un regime che fu «a parole democrazia, ma in realtà il governo del primo cittadino» (Storie II, 65, 9), egli elogia il regime oligarchico instaurato nel 411 a.C. – con la sua ferma limitazione del diritto di cittadinanza – e in generale si mostra ostile nei confronti del popolo e della sua volubilità, secondo la più tradizionale concezione aristocratica. Anche l’imperialismo di Atene – pur essenziale alla realizzazione del programma democratico – è guardato con favore da Tucidide, che mostra di analizzare con disincanto e freddezza le dinamiche politiche dominate innanzitutto da inevitabili rapporti di forza.
La struttura delle Storie
Tucidide dichiara di aver iniziato la sua ricerca sin dai primi indizi della guerra ormai prossima; è dunque da supporre che la stesura delle Storie sia iniziata intorno al 435 a.C., quando i contrasti fra Corcìra e Corinto forniscono il primo antefatto allo scontro fra Atene e Sparta. Gli studiosi si sono a lungo interrogati sulle varie fasi di composizione dell’opera, formulando ipotesi assai varie che comunque sfuggono alla possibilità di un riscontro. È verosimile che Tucidide abbia lavorato ininterrottamente nel corso di un arco cronologico pressoché trentennale (ca. 435-400 a.C.), prima raccogliendo ‘schede’ di dati sugli eventi a lui contemporanei (la scelta corrisponde al privilegio concesso, in sede metodologica, alla testimonianza autoptica), quindi fornendo stesure parziali di cui qualche segno rimane nelle sezioni che la morte gli avrebbe impedito di rivedere; la stesura definitiva prevede naturalmente anche l’inclusione di excursus (infinitamente più ridotti rispetto a quelli di Erodoto, e comunque concentrati soprattutto nel primo libro) e di discorsi, una scelta stilistica che Tucidide giustifica garantendo di aver riprodotto con fedeltà almeno il contenuto delle orazioni effettivamente pronunciate. Nella sua forma attuale i contenuti dell’opera appaiono così distribuiti:
Libro I: svincolato dallo schema cronologico e dotato di un forte carattere programmatico; Tucidide ripercorre la storia greca arcaica, il periodo della cosiddetta ‘pentecontetìa’ (il «cinquantennio» compreso fra le guerre persiane e la guerra del Peloponneso) e quindi gli antefatti diretti della guerra fra Sparta e Atene.
Libro II: anni 431-429, cioè i primi tre anni del conflitto. Gli eventi sono descritti in ordine rigorosamente cronologico e scanditi dal ritmo delle stagioni estiva e invernale. Particolarmente noto il lungo discorso che Pericle avrebbe pronunciato per commemorare i caduti del primo anno di guerra (il cosiddetto Epitafio di Pericle) e che molti studiosi ritengono autentica testimonianza del pensiero politico pericleo; esso costituisce in ogni caso uno dei brani più celebri della letteratura classica e un accorato manifesto della democrazia ateniese. Notevole anche l’analisi che Tucidide dedica alla peste che colpì Atene a partire dal 430: con dovizia di termini medici, lo storico si mostra buon conoscitore della contemporanea scienza ippocratica.
Libro III: anni 428-426. Centrali i racconti relativi alla defezione di Lesbo (e all’aspra punizione programmata dal politico post-pericleo Cleone, inviso a Tucidide), alla caduta di Platea alleata di Atene e alle campagne dello stratega ateniese Demòstene in Etolia e in Acarnania.
Libro IV: anni 425-423. Dai successi ateniesi di Pilo e Sfactèria, agli insuccessi di Amfipoli seguiti alla campagna dello spartano Brasida, Tucidide ha anche l’occasione di scrivere pagine autobiografiche che pure non abbandonano la programmatica obiettività dell’opera.
Libro V: anni 422-416. Le contrapposte campagne in Tracia dell’ateniese Cleone e dello spartano Brasida si concludono con la morte di entrambi gli strateghi. Tucidide descrive con accuratezza il periodo della ‘pace armata’ seguito al 421 a.C., mostrando peraltro una grande conoscenza dell’organizzazione militare spartana. L’ultima parte del libro costituisce quasi un opuscolo a sé: si tratta del Dialogo dei Melii e degli Ateniesi, che prendendo spunto da un evento tutto sommato marginale della guerra (la spedizione punitiva di Atene contro la piccola isola di Melo, colpevolmente neutrale) fornisce, in una contrapposizione di stile sofistico fra i due punti di vista degli Ateniesi e dei Melii, una vera e propria teoria della Realpolitik, indifferente a pretesti di carattere religioso o etico, e interamente fondata su motivazioni di matrice politica ed economica.
Libri VI e VII: rispettivamente anni 416-414 e 413-412. I due libri appaiono solidali, dedicati come sono alla spedizione ateniese in Sicilia, isola della quale Tucidide analizza peraltro la storia arcaica, in una digressione di eccezionale valore documentale.
Libro VIII: anni 413-411. Dopo il fallimento della spedizione siciliana, Tucidide descrive le reazioni di un’Atene gettata nello sconforto e in preda al panico, sino all’avvento dei Quattrocento e al loro golpe anti-democratico del 411 a.C.; la narrazione si conclude bruscamente sul racconto delle operazioni militari e diplomatiche di Alcibiade e del satrapo persiano Tissaferne dopo la vittoria ateniese a Cìzico (411 a.C.).
È opinione intrigante proposta da alcuni studiosi, che possono contare anche su analoghe ipotesi antiche, quella secondo cui le carte tucididee relative all’ultima parte della guerra peloponnesiaca siano state in qualche modo raccolte da Senofonte, che se ne sarebbe servito per comporre la prima parte delle sue Elleniche, e che potrebbe essere stato addirittura – ma la supposizione è indimostrabile – il curatore postumo delle Storie tucididee.
[Federico Condello]
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