Alceo
(gr. Alkâios, lat. Alcaeus)

Ipotesi biografiche
Nativo di Mitilene, nell’isola di Lesbo, aristocratico di una famiglia fra le piú attive e impegnate nella vita politica coeva, Alceo è vissuto in un periodo cronologicamente determinabile solo a partire dagli eventi e dai personaggi storici con cui la tradizione biografica (e la stessa testimonianza dei suoi frammenti poetici) lo pongono in relazione. Secondo una ricostruzione ritenuta attendibile, i fratelli di Alceo (ma per alcune fonti Alceo stesso) avrebbero partecipato all’abbattimento del tiranno Melancro, mentre il poeta, poco dopo, avrebbe combattuto nella guerra contro Atene per il possesso del Sigeo: se di quest’ultimo evento si accetta la datazione risalente ad Apollodoro (una datazione diversa, piú bassa, è presupposta da Erodoto), la fine del conflitto fra Atene e Mitilene va collocata intorno al 600 a.C. Tanto alla lotta contro Melancro, quanto alla guerra del Sigeo, la famiglia di Alceo avrebbe preso parte accanto a Píttaco, il futuro aisumnétes (carica arbitrale simile a quella ricoperta in Atene da Solone) destinato a governare Mitilene fra il 590 e il 580 a.C. circa. Ma presto l’alleanza dovette infrangersi: infatti, quando al decaduto Melancro succedette Mírsilo (anch’egli definito ‘tiranno’), sembra di capire che il gruppo politico di Alceo sia stato tradito da Pittaco, il quale avrebbe addirittura ‘regnato’ accanto a Mírsilo per un certo periodo di tempo; a questo momento risale il cosiddetto ‘primo esilio’ di Alceo, che secondo le fonti fu confinato a Pirra, non distante da Mitilene. È probabile che alla morte di Mirsilo Alceo e i suoi abbiano potuto far ritorno in patria: ma nuovi esili dovettero verificarsi durante il violento periodo di guerra civile che portò appunto all’‘arbitrato’ decennale di Pittaco. Si ritiene che Alceo sia rientrato a Mitilene soltanto grazie a un’amnistia voluta dallo stesso Pittaco durante il suo governo: ma i particolari e la fondatezza stessa della vicenda sono discussi.
Sappiamo inoltre che il fratello di Alceo, Antimènide, prestò servizio come mercenario al soldo dei Babilonesi, probabilmente durante le campagne in Palestina degli anni 596 e 586 a.C.: date che ben s’inquadrano nella cronologia alta sin qui seguita; va ricordato inoltre il diffuso accostamento fra Alceo e la grande poetessa sua conterranea, Saffo, che secondo le fonti antiche gli fu anche contemporanea (nonché amica: ma è molto forte il sospetto che la tradizione biografica, su questo punto, abbia largamente fantasticato): fissare gli estremi biografici del poeta fra il 620 e il 560 a.C. circa appare dunque verosimile.

Frammenti e caratteri delle opere
L’opera di Alceo doveva essere molto estesa, se l’edizione alessandrina dei suoi carmi (curata da Aristofane di Bisanzio e da Aristarco, III-II a.C.) ammontava addirittura a dieci libri, organizzati per temi caratteristici come gli inni agli dèi, i canti d’amore, i canti politici, i canti da simposio. Nelle edizioni piú recenti, il corpus della poesia alcaica – proveniente in larga parte da tradizione indiretta, ma notevolmente arricchito, nel corso del ‘900, dall’apporto dei papiri – ammonta a ca. 440 frammenti di varia estensione. Diogene Laerzio (III d.C.) nomina le poesie di Alceo dette stasiotiká («sulle guerre civili»), e il ‘titolo’ coglie bene quello che doveva essere uno dei temi piú importanti della produzione alcaica: lo scontro politico che vide opposte le diverse fazioni dell’aristocrazia lesbia fra VII e VI a.C., nonché le personali vicende connesse all’esilio e all’allontanamento dalla vita civile di Mitilene.
Ma i carmi del poeta, come ben sapevano gli antichi, sono spesso dedicati all’amore, al vino, all’esaltazione del piacere quali esclusivi rimedi dinanzi al carattere effimero e precario della vita umana: un insieme di tematiche assai comuni nella poesia greca arcaica, che hanno fatto parlare dell’aristocrazia lesbia come di un’aristocrazia ‘dorica’ e tradizionalista nei caratteri fondamentali, ma fortemente ‘orientalizzata’ nello stile di vita, e cioè incline al lusso e all’edonismo.
Oggi la critica è concorde nell’individuare l’orizzonte principale della poesia alcaica nel simposio, inteso come riunione a carattere privato, e fortemente elitario, delle eteríe (consorterie politiche) aristocratiche, che nel simposio vivevano a un tempo un’importante occasione di confronto sui grandi temi dell’impegno e della lotta civile, e un momento ‘ricreativo’, ma non perciò meno ritualizzato e tradizionale, dove gli adepti mettevano alla prova nel canto e nella performance poetica i capisaldi della propria solidarietà castale. Sono stati da sempre giudicati rimarchevoli i toni aspri e sanguigni con cui Alceo attacca i nemici politici (celebri fra gli altri l’invettiva contro il traditore Pittaco, nel fr. 129 Voigt, o il grido d’esultanza alla morte di Mirsilo, nel fr. 332 Voigt), ma anche il grande rimpianto che ispira le poesie sull’esilio (per es. il fr. 130 Voigt), o il tono di vivace preoccupazione che anima la famosa ‘allegoria della nave’ (fr. 208a Voigt), dove nel linguaggio cifrato che dovette essere tipico di certa produzione simposiale Alceo – per primo, fra i testi a noi noti – impiega l’immagine fortunata della ‘nave dello Stato’, esposta a forte repentaglio su un mare in tempesta.
I critici antichi (in particolare Dionigi di Alicarnasso, I sec. a.C.) osservavano che i carmi di Alceo, escluso il metro, apparivano identici a «discorsi politici». I critici moderni hanno sottolineato soprattutto quello che si usa definire (forse con qualche genericità) il carattere ‘pragmatico’ della poesia alcaica, strettamente connessa a luoghi, eventi, valori radicati nella vita concreta dell’etería e del simposio, che ne costituisce il principale luogo di riunione.
Sin da età classica Alceo fu considerato, accanto a Saffo, il principale poeta eolico, e i suoi carmi godettero di enorme fortuna anche al di là delle occasioni precise che ne avevano dettato l’ispirazione: particolarmente celebri le imitazioni che ne fece, in età augustea, Orazio.

[Federico Condello]