Erodoto
(gr. Heródotos, lat. Herodotus)
Cenni biografici
Erodoto nacque ad Alicarnasso, città della Caria sottoposta al controllo persiano, in un periodo che il suo conterraneo Dionigi (I a.C.–I d.C.) pone negli anni subito precedenti le guerre persiane; alquanto sospetta è la data del 484 a.C. fornita da Aulo Gellio (II d.C.), perché essa sembra dipendere dal diffuso artificio cronografico per cui l’evento principale nella vita di un autore (in questo caso la partecipazione alla fondazione di Turii, colonia panellenica voluta da Pericle, nel 444 a.C.) veniva fatto coincidere con il suo quarantesimo anno di età. Nipote del poeta epico Paniassi, Erodoto con la sua famiglia dovette partecipare ai fallimentari tentativi di golpe contro Ligdami, reggente di Alicarnasso fedele ai Persiani, come già la madre Artemisia. Di qui l’esilio che portò Erodoto a Samo, mentre resta dubbio che lui e la sua famiglia abbiano in séguito contribuito alla caduta di Ligdami. Probabilmente a partire dal 450 a.C. ca. data il rapporto di Erodoto con Atene. Dal 454 a.C. Alicarnasso figura tra i membri della Lega delio-attica. Nel 444 a.C., come accennato, Erodoto è fra gli intellettuali che Pericle raccoglie per dare ampio respiro propagandistico alla fondazione di Turi in Magna Grecia; un evento cui Erodoto aderì evidentemente con convinzione, poiché nella ‘firma’ che apre la sua opera storiografica si definisce «Erodoto di Turi» (lo testimonia Aristotele) e non più «Erodoto di Alicarnasso» (come registrano molti codici). La tradizione raccolta dall’enciclopedia bizantina Suda (X d.C.) vuole che a Turi Erodoto sia morto e sia stato seppellito. Il che ha creato qualche difficoltà agli studiosi, che sottolineano come Turi interrompa i rapporti con la metropoli Atene a partire da pochi anni dopo la sua fondazione. Molto difficile, in ogni caso, determinare la data esatta della morte di Erodoto: ci si affida per questo punto ai dati desumibili dall’opera stessa dello storiografo, che sembra a conoscenza di eventi relativi all’inizio (e forse addirittura all’intera prima fase) della guerra peloponnesiaca. Un terminus post quem sicuro è perciò il 430 a.C., mentre alcuni studiosi si spingono sino al 425-420 a.C. Sempre sulla base della sua opera, gli si attribuiscono numerosi viaggi: dalla Babilonia alla Scizia, dalla Macedonia alla Siria, dalla Colchide alla Libia e all’Egitto. Arduo determinare l’esatto rapporto che Erodoto ebbe con Pericle e con il suo entourage: pare certo, tuttavia, che l’adozione di una chiara prospettiva filo-ateniese (pur negli equanimi riconoscimenti tributati a Sparta) sia da intendere come il segno di un rapporto organico e partecipe.
Formazione dell’opera
Erodoto, «padre della storia» secondo una celebre definizione ciceroniana, è autore di quella che per noi appare come un’opera unitaria, divisa in nove libri, dedicata alle guerre persiane dagli antefatti mitici (trattati con bonario distacco) sino alla presa di Sesto, e con ciò alla definitiva pacificazione del mare Egeo. Questa stessa opera è definita, nel proemio che la inaugura, historíe (per l’esattezza historíes apódexis, «esposizione della ricerca»), con un valore che però ha ancora ben poco del futuro senso attribuito a «storia», «storiografia» o «ricerca storiografica»; si tratta piuttosto di una «indagine» intonata a caratteri onnicomprensivi che unificano nozioni storiche, nozioni etnografiche, nozioni geografiche; non è un caso che Tucidide, fortemente critico nei confronti di Erodoto, non ricorra mai al termine historíe.
Quanto al carattere unitario delle Storie erodotee, numerosi indizi – sia interni che esterni – parlano a favore di una composizione assai stratificata e probabilmente estranea a un progetto stabilmente e compiutamente pianificato. Gli studiosi ritengono perciò che le Storie siano nate come un insieme di lógoi («racconti») autonomi, solo successivamente – forse a partire dal soggiorno ateniese e dal contatto con la classe dirigente periclea – riordinati in un complesso organico e soprattutto destinato alla fruizione per iscritto. Sono molte, infatti, le tracce di una composizione destinata originariamente alla lettura pubblica e quindi a un medium comunicativo eminentemente orale. Le fonti antiche parlano talora di cospicui emolumenti versati ad Erodoto per le sue performances (che Luciano, qualche secolo dopo, immagina addirittura svolte dinanzi all’uditorio panellenico delle Olimpiadi); indizi di vera e propria composizione orale, fondata su uno stile fatto di riprese e nessi ‘ad anello’, sono stati da tempo messi in luce; lo stesso Erodoto sembra talvolta riferirsi a precedenti ‘letture’ dei brani appartenenti alle Storie (per esempio il famoso ‘dibattito costituzionale’ del III libro) o rinviare a lógoi mai scritti o semplicemente mai compresi nella riorganizzazione successiva dell’opera (per esempio il lógos degli Assiri annunciato nel I libro).
Una chiara allusione al lógos babilonese è stata da tempo riconosciuta negli Acarnesi di Aristofane (425 a.C.), anche se è difficile desumere da tale dato indicazioni precise sulla ‘data di pubblicazione’ delle Storie o sui modi di circolazione dei singoli lógoi. È in ogni caso probabile che la stesura dell’opera abbia accompagnato tutta la vita dello scrittore, e che essa sia quindi andata soggetta a un processo di ‘focalizzazione’ progressiva che poco a poco ha fornito linee guida e cornice a narrazioni virtualmente autonome (che tali rimangono, in verità, anche se inserite nella compagine dell’opera complessiva). La divisione in 9 libri, poi, è senz’altro da attribuire alla filologia alessandrina, e con essa probabilmente l’assegnazione a ciascuno di essi del nome di una Musa (il dettaglio è testimoniato per la prima volta da Luciano, nel II secolo d.C.).
Contenuto dell’opera
Allo stato attuale le Storie di Erodoto obbediscono al seguente ‘piano’:
Libro I: proemio e presentazione dell’opera, che intende raccontare «le opere grandi e famose di Greci e Barbari»; antefatti mitici del confronto fra Greci e Barbari; il regno di Creso; le origini dell’impero persiano e le imprese di Ciro il Grande.
Libro II: il regno persiano di Cambise e la conquista dell’Egitto; etnografia e storia dell’Egitto.
Libro III: campagne di Cambise contro Etiopi e Ammonii; morte di Cambise; lotte civili all’interno del regno persiano; ascesa al potere di Dario e riorganizzazione del regno; vicende di Policrate di Samo; rivolta di Babilonia contro i Persiani.
Libro IV: campagne di Dario in Scizia e del satrapo Ariande in Libia, con relativa descrizione delle regioni e dei loro costumi.
Libro V: campagna di Dario in Tracia; la rivolta ionica e l’aiuto inviato da Atene; l’incendio di Sardi.
Libro VI: Dario riconquista la Ionia e si prepara ad attaccare Atene; la prima guerra persiana sino a Maratona.
Libro VII: morte di Dario e ascesa di Serse; Serse doma la rivolta egiziana e si prepara ad attaccare nuovamente la Grecia; la battaglia delle Termopili.
Libro VIII: prosecuzione della campagna di Serse con le battaglie di Salamina e dell’Artemisio.
Libro IX: definitiva sconfitta dei Persiani con le battaglie di Platea, di Micale e di Sesto (478 a.C.).
Appare evidente da questa semplice descrizione dell’opera che un originario progetto dedicato alla ricerca storico-etnografica sui popoli barbari (non solo orientali), entro cui Greci e Ateniesi non risultano citati che a titolo digressivo, con il V libro diviene a tutti gli effetti una storia dei Greci (e in particolare di Atene) nella loro lotta contro i Barbari. Modi e ragioni di una tale metamorfosi, probabilmente avvenuta in corso d’opera, rimangono oggetto di discussione: ma sembra difficile minimizzare il ruolo che in tale processo deve aver giocato il contatto con Atene e con la classe dirigente periclea.
Caratteri dell’opera
Da un punto di vista propriamente storiografico, l’opera di Erodoto è andata soggetta a giudizi contrastanti sin dall’età antica: accanto alla tradizione che lo proclama nientemeno che «padre della storia» (Cicerone nelle Leggi), sta quella (rappresentata per esempio da Plutarco) che lo accusa di partigianeria e di mendacità. Non troppo diversamente i moderni, sin dall’età positivistica, si sono spesso stupiti di una storiografia che in nulla o quasi risponde a criteri di scientificità e di obiettività, e che anzi molto indugia su aspetti di carattere squisitamente romanzesco o ‘novellistico’: quegli aspetti che hanno sempre reso Erodoto un autentico tesoro di tradizioni, aneddoti, notizie etnografiche, sono gli stessi che sembrano minare alla base il carattere scientifico del suo progetto di ricerca. Non si discosta troppo da tale prospettiva quella che vede in Erodoto una ‘tappa’ (tradizionalmente ‘mediana’ fra Ecateo e Tucidide) sulla strada di una ricerca storica finalmente laica e autonomamente fondata: il che avverrebbe soltanto con la scelta di razionalità integrale operata, pochi anni dopo, da Tucidide (non a caso critico feroce di Erodoto).
Tra le fonti riconosciute dello storiografo, poi, vanno rubricati non solo poeti, logografi ionici, oracoli, ma anche e soprattutto racconti orali e tradizionali, che egli talvolta riporta senza giudizio (rispettando fedelmente il conflitto delle tradizioni locali), talaltra vaglia esprimendo in proprio una veduta ispirata per lo più al semplice buon senso. Non meno irrazionale è parsa quella peculiare e riduttiva ‘filosofia della storia’ che trapela spesso dalle pagine di Erodoto, e che molto concede a idee tradizionali come il destino (sempre pronto a ‘ribaltare’ le sorti) e gli dèi (custodi, non sempre morali, di una ‘giusta misura’ spesso incrinata da atti singolari di húbris).
Solo in tempi assai recenti, dopo il lungo travaglio che ha costretto la storiografia novecentesca a una radicale revisione dei propri presupposti ‘scientifici’ (o presunti tali), la storiografia erodotea è stata rivalutata esattamente per quegli aspetti che a lungo ne hanno a lungo costituito un apparente difetto: il largo apporto di notizie etnografiche e di tradizioni mitiche (perfettamente in linea con l’attuale dialogo fra storia e antropologia) e l’attenzione a quella che oggi si definirebbe ‘microstoria’ (storia della vita quotidiana, dei costumi, delle credenze, dell’immaginario collettivo); per non dire della sostanziale estraneità di Erodoto a quel processo di ‘demonizzazione’ del Barbaro che diventerà la regola in molta trattatistica greca successiva, e che ne fa un attento osservatore dei nómoi («usanze», «tradizioni») locali o nazionali e della loro inevitabile relatività. La stessa adesione di Erodoto all’ideologia periclea è stata sottoposta a nuova meditazione, e molti ritengono oggi che tale adesione vada di pari passo con un sostanziale riconoscimento dei meriti spartani e con una sotterranea accusa alle derive imperialistiche dell’espansione ateniese.
Dal punto di vista letterario, la fortuna di Erodoto è stata invece sempre incontrastata, e il suo talento narrativo universalmente riconosciuto: sin da età antica egli è stato assunto a modello dello ionico letterario, il dialetto che egli desumeva dalla patria Alicarnasso, dorica di fondazione ma profondamente ionizzata, e che Erodoto seppe elevare a modello di molta prosa successiva.
[Federico Condello]