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Èdipo
(gr. Oidípous, lat. Oedipus)
Caratteristiche e genealogia
Figlio del re di Tebe Laio e di Giocasta (chiamata Epicasta in Odissea XI 271 ss., Euriganìa in Pausania IX 5, 11 e in Apollodoro, Biblioteca III 5, 8), re di Tebe a sua volta, padre di Antigone, Ismene, Eteocle, Polinice. La vicenda di Edipo è fra le più note e celebrate della tradizione classica: attestata sin da Omero (dove tuttavia si registrano significative varianti), oggetto di un poema epico perduto (Edipodia), essa è stata canonizzata dalla versione tragica di Sofocle, che vi dedicò due drammi, l’Edipo re e l’Edipo a Colono.
Antefatti
Prima della nascita di Edipo, un oracolo avverte Laio e Giocasta del triste destino che attende loro figlio: egli avrebbe ucciso il padre e avrebbe gettato la vergogna e la sciagura su tutta la stirpe dei Labdàcidi (risalente, attraverso Làbdaco, al fondatore di Tebe Cadmo). Per questa ragione, appena nato, Edipo viene esposto per ordine di Laio sul monte Citerone, con i piedi forati e incatenati perché non abbia scampo (di qui il suo nome, spiegato dagli antichi come “Piede Gonfio”). Ma il servo cui era stato assegnato tale incarico disobbedisce per compassione del bambino, che viene così affidato a un pastore di Corinto, servo del re Pòlibo e della regina Mèrope. I due sovrani corinzi, essendo privi di figli, decidono di allevare come proprio il trovatello, che cresce felice e ignaro della sua origine. Un giorno, durante un banchetto, un uomo in preda all’ubriachezza ingiuria Edipo e lo accusa di non essere il figlio di Polibo e Merope. Il giovane, offeso e dubbioso nonostante le rassicurazioni ricevute dai due sovrani, decide di recarsi a Delfi per consultare l’oracolo circa le proprie origini: ma la Pizia, senza rispondere all’interrogativo posto da Edipo, profetizza che egli avrebbe ucciso il padre e preso in sposa la madre.
Edipo a Tebe
Terrorizzato dal vaticinio, Edipo si impone di non fare ritorno a Corinto, e si dirige alla volta di Tebe. Tuttavia, durante le sue peregrinazioni, egli si imbatte, a un crocicchio, in un carro sontuoso, guidato da un uomo evidentemente assai ricco e con un vasto séguito di guardie, che gli intimano aspramente di cedere il passo. Còlto dall’ira per l’affronto, Edipo si rifiuta di accondiscendere alla richiesta, e nella lite che ne segue uccide l’uomo alla guida del carro con gran parte della sua scorta: si tratta naturalmente del re Laio, suo vero padre. Giunto qualche tempo dopo nei pressi di Tebe, Edipo affronta vittoriosamente la Sfinge, il mostro che affligge la città uccidendo tutti coloro che non sanno risolvere il suo indovinello: qual è l’animale che cammina a quattro, a due e a tre zampe? Edipo non esita a rispondere «l’uomo» (nei suoi vari stadi di età), avendo così ragione della Sfinge, che per la rabbia si uccide (secondo altre versioni, fu uccisa dallo stesso Edipo; varia talora anche la natura dell’enigma proposto ai Tebani, la cui ingenuità non ha mancato di lasciare perplessi antichi e moderni).
Poiché un proclama di Creonte, reggente di Tebe dopo la morte di Laio, prometteva il regno a colui che fosse riuscito a liberare la città dalla Sfinge, Edipo si installa a Tebe come sovrano, ottenendo anche la mano della regina Giocasta. Amato e osannato dal suo popolo, Edipo governa con saggezza la città e ha da Giocasta quattro figli.
Ma il giorno in cui un’improvvisa pestilenza comincia ad abbattersi
su uomini e animali di Tebe – di qui ha inizio l’Edipo
re di Sofocle – il popolo
torna a implorare Edipo, il risolutore di enigmi che già aveva
liberato la città dalla Sfinge. Il re, interpellato l’oracolo
di Delfi, viene a sapere che la pestilenza sarebbe cessata soltanto con
la scoperta e la punizione dell’uomo che aveva ucciso il precedente
re Laio: Edipo dà allora inizio a un’autentica indagine,
interrogando innanzitutto l’indovino Tiresia; ma questi lo mette
in guardia dalla sua volontà di scoprire la verità, lasciando
trapelare sinistri presagi dinanzi ai quali Edipo reagisce accusando di
ciarlataneria l’indovino e sospettando una combutta fra lui e Creonte
per impadronirsi del trono di Tebe. Nel frattempo, nella città
giunge un messaggero da Corinto per annunciare la morte di Polibo e per
richiamare Edipo quale legittimo erede al trono: una notizia che apparentemente
dimostra l’infondatezza dell’oracolo per il quale Edipo aveva
abbandonato Corinto. Ma è in realtà proprio il messaggero
a rivelare, senza volerlo, la vera origine di Edipo: era stato infatti
proprio lui, quando pascolava le mandrie di Polibo sul Citerone, a ricevere
il neonato da un servitore di Laio. Quest’ultimo, ormai vecchio,
viene immediatamente interrogato da Edipo che ormai sospetta l’orribile
verità: il servitore, minacciato di tortura, confessa, e con la
sua confessione costringe Edipo a prendere coscienza di tutto l’accaduto.
La madre (e moglie) Giocasta, che già aveva intuito la verità,
si è nel frattempo uccisa impiccandosi a una trave del palazzo
reale (secondo altre versioni, e in particolare secondo quella raccolta
dalle Fenicie di Euripide, Giocasta
sarebbe sopravvissuta alla rivelazione e si sarebbe uccisa solo in seguito,
dinanzi ai cadaveri dei figli Eteocle e Polinice). Edipo stesso, per la
disperazione, si accieca con una fibbia della propria veste, e dopo aver
affidato alle cure di Creonte le figlie Ismene e Antigone – le più
vulnerabili ed esposte all’infamia – scongiura di essere cacciato
in ottemperanza al suo stesso bando, promulgato contro l’assassino
di Laio.
Edipo ad Atene
Il séguito della vicenda è affidato all’Edipo a Colono di Sofocle: Edipo, profugo attraverso l’Ellade con la figlia Antigone, giunge nel demo attico di Colono Hìppios, dove gli abitanti vorrebbero scacciarlo per timore della contaminazione (l’impurità legata - in questo caso - al parricidio), e dove ben presto arriva Ismene ad annunciare la terribile notizia del dissidio che oppone i due figli maschi di Edipo, Eteocle e Polinice, per il controllo del regno tebano. Edipo maledice ugualmente i due rivali, e si oppone altresì al tentativo di Creonte che vorrebbe costringerlo a far ritorno in Tebe, perché solo la sua presenza – così recita un antico oracolo – avrebbe garantito la salvezza della città.
Ma Edipo è ormai rassegnato al suo destino e osserva con maturato distacco la propria vicenda di uomo travolto dal fato, ma intimamente incolpevole: e quando Creonte fa catturare Ismene e Antigone per piegare la volontà del vecchio, in suo aiuto interviene Teseo, che libera le due ragazze e riceve in cambio da Edipo la rilevazione di segreti che garantiranno Atene contro tutti i suoi nemici. Quindi, nello stesso demo di Colono, Edipo prodigiosamente scompare alla vista dei presenti.
Non mancano tuttavia versioni discordanti sulla fine di Edipo: Omero, per esempio, ne conosce i sontuosi funerali avvenuti in Tebe (Iliade XXIII 679 s.), e Pausania (II d.C.), pur certificando la presenza di una tomba dedicata a Edipo nel santuario ateniese delle Erinni, sostiene che le ossa dell’eroe siano state ivi trasportate dalla città natale.
Fortuna del mito
Il mito di Edipo, dopo diverse trattazioni antiche – si ricorderà almeno l’Edipo di Seneca (I d.C.), che aggiunge ai personaggi del dramma sofocleo il fantasma dell’ucciso Laio – è stato oggetto di continue rivisitazioni sin da età medievale – vi si riferisce il Roman de Thèbes – rinascimentale e moderna, ma è soprattutto in età contemporanea che esso conosce l’apice della sua fortuna: sulla scorta delle ricerche di Sigmund Freud, infatti, Edipo – che ha dato nome al ‘complesso edipico’ – è divenuto l’emblema del legame libidico che vincola il soggetto ai suoi primi oggetti sessuali (i genitori), fortemente ambivalenti secondo la polarità amore/odio. Sul piano dell’esegesi letteraria, la dottrina psicoanalitica – e in particolare l’interpretazione che dell’Edipo re di Sofocle offre Freud nell’Interpretazione dei sogni (1900) – ha promosso l’idea che la vicenda edipica costituisca in un certo senso l’archetipo di ogni meccanismo narrativo o drammatico, sicché le dinamiche, i ruoli e i sentimenti che animano il dramma sofocleo si sono potuti riconoscere, pur mascherati, dietro l’impianto di numerose altre opere (per esempio l’Amleto di Shakespeare, come suggerì già Freud). L’interpretazione freudiana della vicenda edipica – e in particolare del dramma sofocleo – è tuttora assai discussa dagli studiosi, che rimproverano a Freud (ma a torto, secondo alcuni) numerosi anacronismi e forzature; è in ogni caso evidente che tale interpretazione ha ispirato quasi tutte le riscritture novecentesche del mito, da quella di H. von Hofmannsthal (1907) a quella di J. Cocteau (La machine infernale, 1934), da quella di A. Gide (1930) a quelle di Th. Eliot (1958), del belga H. Claus (1971), dell’olandese H. Mulisch (1972); la vicenda di Edipo è inoltre oggetto di un film di P.P. Pasolini (1967) e ipotesto nascosto – ma non troppo – del più celebre romanzo di A. Robbe-Grillet, Les gommes (1959), per non citare che le opere più famose. [Federico Condello]
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