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Che gonzo quel metallaro! |
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Qualche considerazione merita anche l’italiano
dei non Italiani. Ci sono in vari punti del mondo stranieri che lo studiano
e che lo usano con influenze che vengono dalle loro lingue. Nel 1981 erano
1.200.000 e ora sono aumentati. Non si tratta soltanto di discendenti
da immigrati italiani che vogliono recuperare le loro radici, ma anche
di persone che imparano l’italiano per turismo o per necessità
di lavoro o unicamente per motivi culturali. Ma più importante
per noi è la lingua parlata dalle comunità di immigrati
presenti ormai in gran numero in Italia. Siamo di fronte a un problema
sociale di vasta portata, che implica anche l’apprendimento corretto
della lingua come strumento di una vera integrazione. È certo che,
soprattutto nelle fasi iniziali, si tratta di una conoscenza molto approssimativa,
con forti tratti del parlato e delle varietà regionali o dialettali,
che cambiano a seconda del luogo in cui gli stranieri si trovano a vivere.
Ancora non ci sono studi che documentino contributi degli immigrati alla
lingua italiana, ma non c’è dubbio che li vedremo fra non
molto, soprattutto in considerazione del fatto che l’immigrazione
non è un fenomeno temporaneo ed episodico, ma è destinato
ad allargarsi sempre di più.
Siamo arrivati alla conclusione della
nostra carrellata sulle vicende dell’italiano attraverso il tempo.
Vediamo qual è dunque la situazione. Da quanto abbiamo detto, emerge
che oggi la lingua appare molto diversificata. Le variazioni riguardano
parametri diversi: ci sono differenze regionali, differenze dovute alla
stratificazione sociale (livello culturale alto, medio o basso, uomini,
donne, giovani), differenze che riguardano le situazioni in cui la lingua
viene usata (i registri dello scritto e del parlato a seconda delle esigenze
espressive, e le lingue speciali), differenze imputabili al mezzo usato
(radio, televisione etc.). Un altro concetto, che bisogna tenere presente
per orientarsi in questa realtà complessa, è quello di italiano
standard, con cui si intende una lingua codificata dai manuali e
dalla tradizione scolastica e accettata come corretta: una lingua normale
per i parlanti colti. Oggi ci sono due tendenze nella trasformazione di
questo italiano standard. C’è un aumento della quantità
delle differenziazioni, dovuto alla diffusione dell’italiano (sempre
più usato al posto del dialetto in tutte le occasioni e da tutte
le fasce d’età). In questa direzione spinge anche il proliferare
dei linguaggi speciali che è un effetto dei mutamenti della società
e dello sviluppo tecnologico. Ma c’è anche un movimento di
segno opposto, che tende ad annullare le differenze, perché diminuiscono
le varietà regionali e specialmente perché scritto e parlato
si avvicinano sempre più (come si vede dal fatto che parole come
soldi e fregarsene vengono ormai usate tranquillamente
nello scritto). È sintomatico che tra i giovani di una certa cultura
stia prevalendo un italiano medio che presenta poche differenze. Si affermano
anche varietà regionali e popolari, che si sono sviluppate in questo
secolo, ma che facevano parte del ‘sistema’ dell’italiano.
Sono espressioni tenute ai margini e riemerse quando l’italiano
ha cessato di essere una lingua scritta e di pochi ed è divenuta
la lingua di tutti. Così lo standard tende ad andare verso forme
di substandard, cioè verso un italiano più basso.
Anni luce ci separano dalle imposizioni
della Crusca e sono lontani anche i tempi in cui si pensava che il fiorentino
potesse diventare la lingua degli Italiani. La Crusca ora svolge attività
filologica di alto livello e dal 1964 sta pubblicando un nuovo vocabolario
ispirato ai criteri della nuova linguistica. Da tempo non impone più
regole e norme grammaticali o lessicali, ma risponde su un foglio periodico,
dal titolo «La Crusca per voi», ai dubbi e alle domande poste
dal pubblico. Per chi desidera approfondire ci sono grammatiche e dizionari.
Ma, se pensiamo ai mass media, all’influsso dirompente dell’inglese,
alla cultura dell’immagine e all’ipertesto che sta già
insidiando la cultura del libro, è lecito essere un po’ pessimisti
sul futuro dell’italiano.
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