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La
rivoluzione semantica del cristianesimo |
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Dopo il 476, con le invasioni barbariche
inizia una nuova fase. Sappiamo che, di fatto, alla disgregazione politica
non corrispose la fine della civiltà latina. I motivi sono essenzialmente
due: l’inferiorità culturale dei popoli che occuparono l’Italia,
inferiorità che permise la loro assimilazione alla cultura del
Paese occupato, e il ruolo egemone, sul piano civile, politico, e di conseguenza
linguistico, della Chiesa. Il latino, così, non solo rimase la
lingua della cultura dei Paesi dell’Europa che un tempo facevano
parte dell’impero, ma fu importato insieme al Cristianesimo presso
quei popoli che solo allora emergevano dal buio di una vita tribale.
In questo periodo abbiamo il progressivo diversificarsi delle lingue romanze
dal comune tronco latino. Fino all’VIII secolo assistiamo a una
lenta alterazione del latino parlato che, a causa della profonda decadenza
culturale, è sempre meno vincolato dalla norma scritta. Un momento
cruciale in questo processo è rappresentato dalla politica scolastica
di Carlo Magno. Preoccupato per la dilagante ignoranza del clero a cui
era demandato il delicato compito di trasmettere la conoscenza delle lettere
sacre, il re si fa ispiratore di una riforma – realizzata da Alcuino,
dotto monaco anglosassone e figura di spicco della cosiddetta Rinascenza
carolingia – che consiste nel ritorno alle forme classiche del latino
(come lingua dei dotti), corrotto dalla licenza dei secoli precedenti.
Per l’Italia abbiamo poi l’importante decreto di Lotario dell’825,
che riguarda l’istituzione di scuole regie in otto città
del centro-nord (Torino, Ivrea, Pavia, Cremona, Vicenza, Cividale, Firenze,
Fermo). Al tempo stesso, però, il Concilio di Tours, indetto da
Carlo Magno nell’813, stabilisce che le omelie siano tenute nella
lingua del popolo, che ormai non è più il latino ma la rustica
Romana lingua (il francese) e la thiotisca lingua (il tedesco).
Trent’anni più tardi la situazione si è ormai definita:
nell’842 la formula dei Giuramenti di Strasburgo viene pronunciata
dai due fratelli eredi dell’impero carolingio, Carlo il Calvo e
Ludovico il Germanico, in due lingue (la romana e la theudisca),
perché sia capita dai rispettivi eserciti.
I cambiamenti intervenuti nell’italiano in questo periodo sono dovuti
in primo luogo allo sganciarsi del latino parlato da quello scritto che
era stato riportato, come abbiamo visto prima, alle forme classiche. Lasciata
libera, la lingua parlata tende a modificarsi. Per quanto riguarda la
fonologia, la morfologia e la sintassi si fissano quei fenomeni già
annunciati nel latino parlato dell’età imperiale, come la
sparizione del costrutto dell’accusativo con l’infinito, che
si riduce ad alcuni residui causativi (del tipo «far fare»);
a questi fenomeni se ne aggiungono altri, nuovi. Tra i più importanti
possiamo citare il dittongamento di e breve in ie (pedem
> it. piede) e di o breve in uo (focus
> it. fuoco) in sillaba aperta, cioè che non termina
in consonante; la comparsa del condizionale (un modo che non esisteva
in latino) modellato sul futuro latino, con l’infinito e il perfetto
del verbo habere (avere); la trasformazione progressiva
è amare habui > amare hebui > amare
ei > it. amerei.
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