Oracolo

Generalità
L’it. «oracolo» (che trova un suo corrispondente in quasi tutte le lingue occidentali) deriva dal lat. oraculum, un astratto derivato dal verbo orare («pregare») il cui significato è discusso: gli antichi immaginavano la consultazione oracolare del dio come una preghiera rivolta alla stessa divinità; ma alcuni moderni preferiscono intendere oraculum come «luogo in cui si rivolge una preghiera», significato originario da cui poi sarebbero derivate le altre accezioni del termine: esso infatti può designare sia il responso dato dal dio, sia il datore di tale responso, sia appunto il luogo in cui tale responso è richiesto e concesso. Un’ambiguità analoga è nel gr. chrestérion, che indica sia l’oracolo come responso, sia l’oracolo come luogo deputato alla consultazione del dio.

In ogni caso l’oracolo va considerato un caso particolare entro il più ampio fenomeno della divinazione, una tecnica affidata ad autentici specialisti (spesso costituiti in caste ereditarie, come gli Iàmidi o i Melampòdidi) che potevano seguire gli eserciti (si pensi all’omerico Calcante) o prestare servizio continuato presso una polis (un mantis pubblico fu attivo ad Atene per tutta l’età classica).

Ma accanto all’indovino professionista già Omero conosce l’oracolo: egli menziona la ricca Delfi (Iliade IX 404 s.) e la remota Dodona in Epiro (Iliade XVI 234 s.; Odissea XIV 327 s. = XIX 296 s.). Nel corso dell’età arcaica la fortuna degli oracoli si fa via via più diffusa, e un rilievo particolare assumono gli oracoli panellenici, inseriti in una rete di relazioni che interessa buona parte delle aristocrazie arcaiche, non solo della Grecia ma anche dei regni asiatici più vicini (per esempio la Lidia di Creso). Ciò trasforma la gestione delle sedi oracolari in un fatto eminentemente politico, dato il peso che i pronunciamenti divini – sostenuti da una studiata propaganda – assumono nelle vicende interne alle città greche. È stato calcolato che Erodoto (V a.C.) menziona diciotto oracoli (di cui dieci nella Grecia continentale), a cui vanno aggiunti almeno altri quattro oracoli noti a Pausania (II d.C.) e altri cinque conosciuti soltanto grazie alla documentazione epigrafica.

Sedi, divinità e tecniche
Il dio oracolare per eccellenza è in Grecia Apollo, il cui patrocinio sulla tecnica divinatoria è noto sin dall’Iliade e dagli Inni omerici (cfr. Omero). Ma un ruolo considerevole giocò naturalmente anche Zeus, accanto a divinità minori come Asclepio o a eroi come Trofonio e Anfiarao.

L’oracolo più celebre, in ogni tempo della grecità, fu senza dubbio quello apollineo di Delfi. Secondo la tradizione raccolta già dall’Inno omerico ad Apollo, il dio avrebbe sostituito un precedente culto dedicato alla Terra (Gea); testi posteriori (per esempio le Eumenidi di Eschilo) fanno di Apollo il quarto dio delfico dopo Gea, Temi e Febe. Tracce di culto a Delfi si registrano già dal X-IX secolo a.C., mentre il tempio sede delle consultazioni oracolari fu costruito dopo il 650 a.C. e quindi riedificato due volte: la prima dopo la distruzione subita nel 548 a.C. a causa di un incendio, la seconda nel corso del IV secolo a.C. La tecnica oracolare delfica consisteva nel pronunciamento di una profezia da parte di un medium ritenuto ispirato dal dio stesso: la sacerdotessa nota con il nome di Pizia (Puthó è l’antico nome di Delfi). Tale tecnica era molto diffusa nei santuari apollinei e in particolare in molti oracoli della costa anatolica. La Pizia si preparava a fornire il responso – che avveniva all’interno del tempio, dopo opportuni sacrifici preliminari e dopo il versamento di una congrua offerta – tramite la dafnofagia (assunzione di foglie d’alloro). I consultanti potevano essere privati cittadini, ma specialmente nel corso dell’età arcaica furono poleis e Stati. I responsi della Pizia venivano probabilmente filtrati da appositi interpreti, che li riferivano al consultante. Proverbiale era l’oscurità di tali vaticini, sempre espressi in linguaggio allegorico e allusivo, e spesso capaci di trarre in inganno il consultante secondo un motivo ben noto alla letteratura e al mito.

Altri esempi di oracoli fondati sulla trance estatica di un interprete divino (quasi sempre una profetessa, secondo una specializzazione sessuale su cui gli studiosi si sono spesso interrogati) erano l’oracolo di Zeus a Dodona e la Sibilla Eritrea in Asia Minore (presso la città di Eritre, prospiciente l’isola di Chio), ma anche gli oracoli di Apollo a Didima (presso Mileto) e a Patara in Licia.

L’oracolo di Dodona in Epiro, secondo Omero, è affidato agli indovini detti «Elli, dai piedi sporchi, che dormono per terra»: un corpo sacerdotale di cui poco o nulla si sa, e che in séguito venne sostituito da una casta di sacerdotesse (indicate per lo più in numero di tre e note con il soprannome di «colombe»); Dodona si vantava d’essere il più antico santuario oracolare della grecità: il luogo di culto era la quercia sacra a Zeus, presso cui le sacerdotesse vaticinavano in estasi. Solo nel IV secolo a.C. sorse sul luogo un piccolo tempio; le tavolette votive ritrovate in esso mostrano che l’oracolo era frequentato soprattutto da privati cittadini.

Quanto alla Sibilla, accanto alla sacerdotessa di Eritre già nel I secolo a.C. si conoscevano almeno la Sibilla Persiana, la Sibilla Frigia, la Sibilla Cimmeria, la Sibilla Ellespontica (con sede a Marpesso, vicino a Troia), la Sibilla Samia, la Sibilla Libica, la Sibilla Caldea, la Sibilla Cumana in Italia (descritta da Virgilio sia nelle Bucoliche sia nell’Eneide). Ciò dà l’idea della diffusione – spesso però solo locale – di una profezia ‘sibillina’ affidata alla trance e spesso capace di dar luogo a una letteratura oracolare di ampia fortuna (le raccolte di vaticini noti come Libri Sibillini e conservate a Roma, nel tempio di Giove sul Campidoglio, sin da età monarchica, e poi nel tempio di Apollo sul Palatino a partire dall’età augustea; i 14 libri di responsi in esametri noti come «Oracoli Sibillini» e risalenti almeno al II secolo a.C., poi ampiamente rimaneggiati, con evidenti influssi giudaico-cristiani).

Senz’altro molto antico, perché già connesso alla storia di Odisseo e alla sua discesa nell’Ade, è l’oracolo dei morti a Efira, che però nelle forme attualmente note alla ricerca archeologica risale a una ristrutturazione del IV secolo a.C.: in esso il vaticinio era affidato alla presunta comparsa dello spirito dei defunti (qui, secondo la tradizione, il tiranno di Corinto Periandro poté vedere il fantasma della moglie Melissa).

Una vera e propria discesa agli inferi del consultante era invece inscenata nel santuario di Trofonio a Lebadea, dove la divinazione consisteva nelle visioni del consultante stesso, probabilmente interpretate da sacerdoti locali. Gli oracoli per incubazione avevano un funzionamento molto simile, fondandosi sui sogni del consultante interpretati dai sacerdoti: i due oracoli più famosi dove si praticasse l’incubazione erano quello dell’eroe Anfiarao a Oropo e quelli, assai più diffusi, del dio-medico Asclepio, ma anche l’oracolo di Mopso in Cilicia (Mopso era considerato figlio di Tiresia e rivale di Calcante) e l’oracolo dei Telmessi in Caria. La tecnica della ‘piromanzia’ (decifrazione dei segni ricavati dalle fiamme dell’altare) era invece praticata dall’oracolo di Zeus a Olimpia. Particolarmente famosi a partire dall’età classica furono anche i santuari oracolari di Zeus-Ammone nell’oasi di Siwa (nel Sahara egiziano) e quello apollineo di Claro, presso Colofone (di cui si attribuiva la fondazione al già citato Mopso). Ma oracoli dovevano essere diffusi in tutto il mondo ellenistico (per esempio a Malla, in Cilicia, o ad Apamea, in Siria) e la loro fortuna, pur fra alti e bassi, non venne meno sino al IV secolo d.C., quando ormai il cristianesimo imperante mise fine a culti considerati come demoniaci.

[Federico Condello]