Saffo
(gr. Sapphó [eolico Psáppho], lat. Sappho)

Cenni biografici
Colei che una consolidata tradizione considera la più grande poetessa dell’antichità, se non addirittura la voce poetica femminile più eccezionale e più intensa di tutti i tempi, nacque nell’isola di Lesbo, a Èreso o a Mitilene, nella seconda metà del VII secolo a.C.: precisamente intorno al 640 a.C. (secondo la testimonianza dell’enciclopedia bizantina Suda [X d.C.]) o al 610 a.C. (secondo la testimonianza del cronografo Eusebio [III-IV d.C.]); fu dunque più anziana di circa una generazione, oppure contemporanea, del poeta Alceo, con il quale una tradizione biografica già antico (nonché un discusso frammento poetico dello stesso Alceo [fr. 384 Voigt]) la pone in diretto rapporto. Ricostruire la biografia di Saffo è un’impresa fra le più ardue della storia letteraria antica: non per carenza, bensì per eccesso di testimonianze, spesso pesantemente condizionate da una tradizione tendente al romanzesco che i moderni hanno ereditato dalla speculazione degli antichi.

Conosciamo il nome dei suoi genitori – Scamandrònimo e Cleide – nonché quello dei suoi tre fratelli, il maggiore Carasso (che viaggiò fra Lesbo e l’Egitto e quivi si innamorò, con deleterie conseguenze sul piano finanziario, di una celeberrima etera di nome Dorica o Rodòpi: la storia è già nota a Erodoto), i minori Larico (coppiere nel pritaneo di Mitilene) e Eriguio. È certo che Saffo appartenesse all’aristocrazia lesbia: non si spiegherebbero altrimenti né l’ufficio ricoperto da Larico e riservato a ragazzi della migliore società mitilenese, né l’esilio che sarebbe toccato alla stessa Saffo nel contesto della guerra civile tra fazioni nobiliari in cui fu impegnato in prima persona Alceo, né gli sporadici riferimenti politici contenuti nei frammenti saffici.

Merita grande cautela la notizia secondo cui la poetessa sarebbe stata sposata con il ricco Cèrcila di Andro (un ‘nome parlante’ assai sospetto, che allude alla virilità, e che potrebbe derivare da uno scherzo comico o epitalamico in séguito frainteso), mentre il diffuso assunto secondo cui la Cleide cantata in un frammento saffico sarebbe la figlia della poetessa è stato recentemente messo in dubbio (potrebbe trattarsi di una fanciulla oggetto d’amore) e non può in ogni caso considerarsi sicuro.

Degna di nessun credito è la notizia secondo cui Saffo sarebbe stata piccola, scura di carnagione e tutt’altro che bella: si tratta di un cliché biografico per così dire ‘socratico’, fondato sulla prevedibile opposizione di bruttezza esteriore e bellezza interiore. Del tutto romanzata è la storia dell’amore di Saffo per il bel barcaiolo Faone, che l’avrebbe respinta causando il suicidio della poetessa, gettatasi a capofitto dalla rupe di Lèucade: si tratta di invenzione già nota a Menandro e in séguito diffusa anche nelle letterature moderne, fondata probabilmente sul fraintendimento di dati mitologici e rituali interni ai testi (Faone sembra essere un pàredro [divinità o semi-divinità ‘accompagnatrice’] della dea Afrodite, e la rupe di Leucade è al centro di un complesso mitico-rituale ben documentato).

È opinione consolidata che la vita di Saffo sia trascorsa quasi interamente nell’impegno profuso per l’educazione delle fanciulle che da ogni parte della grecità accorrevano alla ‘scuola’ della poetessa: ma sulla natura di tale ‘scuola’ (spesso definita ‘tìaso’) le fonti sono manchevoli e i giudizi dei moderni contrastanti. Certo i nomi di Archeanassa, Atthis, Arignòta, Dike, Eirène, Mégara, ricorrenti insieme ad altri nei frammenti della poetessa, si ritengono quelli di altrettante ‘allieve’ del tìaso saffico, oggetto in molti casi di autentiche dichiarazioni d’amore (passionale e nient’affatto angelicato, come hanno voluto credere, per interessata pruderie, alcuni moderni). Tali dati hanno alimentato sin dall’antichità la fama di una Saffo omosessuale ed erotòmane che si è depositata nel linguaggio ordinario (attraverso gli aggettivi ‘saffico’ e ‘lesbico’) e che ha condizionato fortemente la fortuna della poetessa: o nel senso di un profondo biasimo morale (alcune fonti antiche reagiscono ‘sdoppiando’ Saffo in due figure distinte: da una parte la saggia e vereconda poetessa, dall’altra una omonima prostituta), o in quello di una sopravvalutazione del suo presunto anticonformismo, che ha talvolta diffuso su di lei l’aura di una poetessa ‘maledetta’ e romanticamente emarginata.

Ma la mitizzazione di Saffo ha conosciuto e conosce molteplici trasformazioni, che hanno fatto di lei ora la direttrice di un collegio femminile, ora una prostituta, ora una femminista ante litteram, ora una romantica e solitaria sognatrice. Interpretazioni tutte che hanno in comune la sostanziale indifferenza per le probabili condizioni storico-culturali in cui la poetessa si trovò ad operare.

Opere

I filologi alessandrini riunirono l’opera lirica di Saffo in otto o nove libri, ordinati secondo il metro: il primo conteneva le cosiddette odi saffiche (una forma metrica destinata a grande fortuna anche attraverso le imitazioni dei moderni), il secondo i distici in pentametri eolici, il terzo i distici in asclepiadei maggiori, il quarto i distici di parasclepiadei maggiori, il quinto i carmi composti da faleci uniti ad altri metri; degli altri libri non si può dire con sicurezza, ed è comunque notevole che al criterio metrico sfuggisse la composizione di un libro (forse il nono, se non l’ottavo) che raccoglieva, secondo un criterio di genere, gli epitalàmi, cioè quelle composizioni corali destinati alla celebrazione dei matrimoni che dovettero costituire parte assai consistente della produzione saffica.

La tradizione indiretta ha conservato numerosi frammenti della poetessa, per lo più assai brevi, con la sola eccezione del celebre inno ad Afrodite citato da Dionigi di Alicarnasso (probabilmente integro) e dell’ode cosiddetta della gelosia (definizione che presuppone un’esegesi assai discutibile) commentata dall’anonimo autore del trattato Sul sublime (testo a cui manca verosimilmente una sola strofa, e che è stato ‘tradotto’ da Catullo nel suo carme 51).

Più ricca la documentazione fornita dai papiri: al momento, le edizioni saffiche comprendono oltre duecento frammenti, di cui alcuni abbastanza estesi, benché ampiamente lacunosi e dunque soggetti a ricostruzioni soltanto ipotetiche.

L’opinione comune ha fatto di Saffo una poetessa monodica, anzi – per molti aspetti – la poetessa monodica per eccellenza, prima autentica rappresentante di quella tradizione lirica soggettiva e individualistica che ha avuto in realtà la sua compiuta teorizzazione soltanto con il romanticismo. La ricerca recente ha rivisto profondamente tale giudizio: da una parte inserendo Saffo nel contesto pubblico o semi-pubblico di quel ‘tìaso’ che costituì il quadro istituzionale privilegiato delle sue composizioni (e che pertanto mette in crisi l’immagine di una poetessa emarginata o solitaria), dall’altra rivalutando numerosi dati – sia interni che esterni – che contribuiscono a evidenziare l’incidenza della produzione corale rispetto alla produzione monodica, inducendo alcuni, forse con qualche eccesso, a operare un autentico ribaltamento dell’opinione scolastica tradizionale.

La poesia di Saffo e l’ambiente del ‘tìaso’
‘Tiaso’ è termine spesso impiegato per designare il séguito degli affiliati al culto di Dioniso; utilizzato in età classica con una certa libertà o genericità, a partire dall’età ellenistica si specializza a indicare comunità organizzate di carattere religioso (spesso, ma non necessariamente, dionisiaco). Il trasferimento del termine alla cerchia femminile entro cui risulta attiva Saffo costituisce senza alcun dubbio un anacronismo, per quanto legittimato dall’uso critico moderno. Alcuni caratteristiche del ‘tìaso’ saffico possono essere considerate assodate: innanzitutto la composizione femminile, appunto; quindi il rapporto pedagogico - in un senso notevolmente ‘allargato’ del termine - che sembra legare maestra e discepole, la marcata caratterizzazione erotica di tale rapporto e il ruolo fondamentale giocato in simile training dalla futura esperienza matrimoniale delle fanciulle. La ricostruzione più largamente accettata vuole che il circolo saffico costituisse una sorta di ambiente educativo (di rinomanza pressoché panellenica) destinato alle fanciulle aristocratiche in età da marito, che all’interno del ‘tìaso’ imparavano alcune specialità muliebri come il canto e la danza, ma anche l’arte dell’abbigliamento e il savoir faire indispensabile a una sposa aristocratica.

Tale idea, invero minimale, è stata sottoposta a numerose rettifiche e di recente a radicali contestazioni. Da una parte, v’è chi sottolinea il carattere religioso e cultuale del ‘tìaso’ diretto da Saffo, rimarcando il legame con la dea Afrodite e il ruolo pressoché sacerdotale ricoperto dalla poetessa. Dall’altra, v’è chi trova il miglior raffronto possibile nei gruppi adolescenziali femminili spartani, quali risultano ampiamente testimoniati dalla poesia di Alcmane: gruppi di giovani donne sulla soglia dell’iniziazione (cioè del passaggio allo status di donne adulte), fra le quali il legame omoerotico – come spesso testimoniato per i coetanei di sesso maschile – gioca una funzione rituale determinante, accanto alla pratica poetico-musicale espressa innanzitutto nella forma del canto corale comunitario: e di qui la rivalutazione di Saffo come leader di cori femminili, dunque in virtuale contrasto (ma non in radicale contraddizione) con l’immagine tradizionale di una Saffo monodica. Infine, vi è chi si attesta sulla generica definizione di ‘scuola femminile’, talvolta declinata secondo modalità che – è stato obiettato – ricordano l’Inghilterra o la Germania ottocentesche piuttosto che la Lesbo del VII-VI secolo a.C. Non è mancato nemmeno chi ha negato ogni verosimiglianza a siffatte ricostruzioni, spingendosi sino a contestare l’identità adolescenziale delle fanciulle saffiche (comprovata però da molte testimonianze esterne e soprattutto da inaggirabili dati interni) e ipotizzando che il simposio fosse l’unico contesto esecutivo delle performances saffiche.

Al di là di tali eccessi e della generale incertezza che sconsiglia conclusioni affrettate, è fondamentale ammettere il carattere comunitario e perciò minutamente codificato di una lirica che è sin troppo facile confondere con un’espressione di sentimentalismo individuale, affidata com’è ai motivi ricorrenti della passione amorosa, della memoria addolorata eppure confortante, del culto della bellezza in ogni sua forma. In tale quadro trovano posto anche esplicite enunciazioni di poetica o tratti apertamente gnomici e normativi, ma anche invettive di carattere ‘giambico’ (celebri quelle all’indirizzo della presunta ‘rivale’ Andromeda) e riferimenti a una realtà politica che non poteva lasciare indifferente un ‘circolo’ cui si attribuisce spesso un carattere privato o addirittura semiclandestino: ciò che mal si concilia non solo con la fortuna panellenica del ‘tìaso’ e con la rapida canonizzazione della stessa Saffo (fuori luogo i tentativi di farne una rivoluzionaria antagonista del ‘pensiero maschile’ dominante), ma anche con la probabile destinazione pubblica di molti canti (almeno di quelli corali) e con la stessa ideologia sessuale elaborata all’interno del circolo, da cui si ricava una marcata conferma e una raffinata codificazione – piuttosto che una presunta ‘contestazione’ – della divisione fra ruoli maschili e ruoli femminili, così caratteristica della condizione femminile antica e non solo antica.

[Federico Condello]