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Medèa
(gr. Medéia, lat. Medea)
Caratteristiche e genealogia
Figlia di Eeta, re della Colchide, e dell’oceanina Idèa secondo Esiodo, Sofocle e Apollonio Rodio; sacerdotessa, maga, amante e quindi sposa di Giasone, protagonista femminile della saga degli Argonauti, in séguito personaggio di numerose leggende che la vedono incontrare alcuni dei più importanti eroi greci. Discendente diretta di Elio (padre di Eeta), ebbe per madre la tenebrosa dea Ecate secondo fonti mitografiche posteriori, che ne fecero peraltro la sorella di Circe (sorella di Eeta, invece, secondo la versione meglio nota della genealogia di Medea).
Medea e gli Argonauti
L’eroina fa la sua prima comparsa nella vicenda degli Argonauti in qualità di ‘aiutante magico’ di Giasone (un ruolo strutturale presente in numerose leggende e non di rado ricoperto da una donna: si pensi ad Arianna). Quando Eeta impone a Giasone di aggiogare due mostruosi tori e di seminare parte dei denti del serpente ucciso a Tebe da Cadmo, è Medea a soccorrere con i suoi artifici magici l’eroe greco, di cui si è innamorata (la progressiva manifestazione di tale sentimento è descritta nel III libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio); in cambio, Giasone ha promesso di portare con sé Medea nel suo viaggio di ritorno in Grecia. Superate le prove imposte da Eeta, Giasone rischia di essere ucciso a tradimento dal re, che non intende rispettare i patti, e viene avvertito e ancora salvato da Medea: sono peraltro i filtri della maga ad addormentare il drago che veglia sul vello d’oro. Durante la fuga che segue il furto del prezioso vello, Medea si macchia del primo delitto familiare: per rallentare le navi di Eeta che tallonano la nave di Giasone, ella uccide e fa a pezzi il fratellastro Apsirto, gettando in mare i brani del suo cadavere; gli inseguitori sono allora costretti a rallentare la loro corsa per raccogliere i pietosi resti del ragazzo ucciso (ma secondo la versione accolta da Apollonio Rodio, Argonautiche IV 303 ss. e 450 ss., Apsirto, che non era un fanciullo ma un giovane superiore per età alla sorella, capeggiava il manipolo di Colchi lanciato all’inseguimento dei fuggiaschi: a ucciderlo fu Giasone, in uno sleale agguato tesogli su suggerimento di Medea: e il corpo venne sepolto in prossimità della popolazione degli Apsirti). Il delitto sarebbe stato in séguito purificato da Circe, sulla cui isola Giasone e Medea fanno tappa durante il viaggio, prima di giungere presso il re Alcìnoo, sull’isola di Corcira; qui, grazie alla collaborazione della regina Arète, Giasone e Medea sono uniti in matrimonio: il connubio scioglie Alcinoo dall’obbligo di restituire Medea al padre, che nel frattempo ha inviato le sue truppe a chiedere la consegna della fuggitiva.
Medea a Iolco
Giunti in salvo a Pàgase, di dove era partita la spedizione degli Argonauti, Giasone e Medea fanno quindi ritorno a Iolco: qui l’eroina aiuta ancora una volta lo sposo a liberarsi di Pelia, che ha usurpato il trono del fratellastro Esòne, padre di Giasone. Ella convince le figlie dell’usurpatore che, facendo a pezzi il padre e ponendone le carni a bollire in un calderone, gli avrebbero garantito una nuova giovinezza: Medea stessa comprova le sue parole applicando tale procedura a un vecchio ariete, che viene subito trasformato in un agnello. Le figlie di Pelia, cadute nel tranello, causano così l’orrenda morte del padre. Fuggiti da Iolco in séguito al delitto, Giasone e Medea, secondo la versione più nota della leggenda, avrebbero trovato asilo a Corinto.
Medea a Corinto
Nella città dell’Istmo ha inizio la storia della Medea di Euripide, l’opera che più di ogni altra ha consacrato l’eroina alla sua durevole fortuna letteraria (da Euripide dipende Seneca, da Seneca o da Euripide e Seneca gran parte delle riscritture successive). Divenuto ospite del re di Corinto Creonte, Giasone matura la decisione di ripudiare Medea – benché la coppia abbia già avuto due o tre figli – e di unirsi in nuove nozze alla figlia del re, il cui nome varia nelle molteplici versioni della leggenda (Glauce o Creusa: in Euripide il nome della ragazza non viene mai fatto). Profondamente amareggiata, Medea finge di soggiacere alla volontà di Giasone, che promette di trattenere con sé e di far allevare con cura i figli avuti da lei, e alle decisioni di Creonte, che le vorrebbe imporre l’esilio per liberarsi della sanguinaria maga. Chiesto e ottenuto un solo giorno di dilazione per la partenza, Medea porta a termine una spaventosa vendetta: preparata una veste e una corona magiche, le fa recapitare alla figlia di Creonte per tramite dei propri figli. Quando la principessa indossa i doni, essi prendono fuoco e la uccidono fra i tormenti; la stessa sorte tocca a Creonte, precipitatosi a soccorrere la figlia. Affinché la vendetta sia completa, e Giasone venga colpito nei suoi affetti più cari, Medea compie un gesto di cui le fonti successive cercheranno di spiegare variamente le motivazioni: ella uccide ferocemente i propri figli – pur dopo tentennamenti che Euripide immortala in un famoso monologo – e quindi fugge sul carro di Elio.
Medea a Corinto: varianti del mito
La versione raccolta (se non inventata ex novo o fortemente riadattata) da Euripide non è tuttavia l’unica, benché certo sia la più fortunata e duratura: fonti posteriori attestano varianti radicali della leggenda, che più di un motivo induce a ritenere anteriori (o comunque contemporanee e ‘parallele’) rispetto a quella resa celebre dal tragediografo ateniese. Per esempio, è esplicitamente testimoniata la presenza di un culto che i Corinzi, ancora in età storica, avrebbero reso ai figli di Medea nel recinto sacro di Era, a ricordo e a espiazione della pubblica lapidazione a cui i bambini sarebbero stati sottoposti dalla stessa cittadinanza corinzia (il crimine sarebbe avvenuto sull’altare della dea Era, contro ogni più ovvio rispetto dovuto al luogo sacro e all’asilo inviolabile da esso garantito). Lo scrittore Eliano (II d.C.) riferisce una notizia – senza dubbio fantasiosa e infondata – secondo cui Euripide sarebbe stato prezzolato dai Corinzi per accreditare una nuova versione dei fatti, che scagionasse la città dal crimine dell’infanticidio. Altre testimonianze fanno di Giasone e Medea non già due esuli ospiti di Creonte, bensì i legittimi sovrani di Corinto: l’ira della città sarebbe derivata proprio dall’odio contro una regina maga e barbara qual era Medea. La stessa Medea di Euripide sembra serbare memoria di tale sfondo mitico e rituale, quando ai vv. 1378-1383 Medea annuncia futuri riti espiatòri da parte dei Corinzi per l’uccisione dei bambini: un dettaglio non del tutto conciliabile con la variante mitica adottata dal tragediografo, ma forse comprensibile sullo sfondo di realtà cultuali contemporanee a Euripide.
Medea ad Atene
Anche la storia di Medea successiva alla sua fuga da Corinto varia notevolmente al variare delle fonti. Secondo un racconto che sviluppa la variante mitica accolta dallo stesso Euripide – che introduce fra i personaggi del dramma il re ateniese Egeo – la maga avrebbe trovato rifugio ad Atene, lì si sarebbe unita con Egeo e avrebbe avuto da lui un figlio di nome Medo (eponimo e capostipite dei Medi; Medèio è il nome dell’unico figlio di Medea e di Giasone in una breve testimonianza di Esiodo, Teogonia 992 ss.). Quando però Teseo fa ritorno da Trezene – dove era cresciuto – ad Atene, prima ancora che egli sia riconosciuto come figlio e legittimo successore dal padre Egeo, Medea tenta di ucciderlo per non compromettere il proprio figlio Medo: scoperta, è costretta alla fuga.
Morte di Medea
Bandita da Atene, la maga ritorna in Colchide, dove nel frattempo Perse aveva spodestato il fratello Eeta. Medo e Medea lo uccidono, restituendo il trono a Eeta (se re non divenne lo stesso Medo, come vogliono alcune fonti). La fine di Medea è avvolta nel mistero: secondo una tradizione posteriore, ella sarebbe stata divinizzata e si sarebbe unita post mortem ad Achille, regnando con lui sui Campi Elìsi.
Fortuna del personaggio
Per il suo carattere enigmatico e sanguinario, il personaggio di Medea ha goduto di vastissima fortuna tanto in età antica quanto in età moderna e contemporanea: oltre al citato Euripide, a Medea dedicò una tragedia perduta Sofocle (Egeo) e ben due libri delle sue Argonautiche Apollonio Rodio, che sottolineò gli aspetti melodrammatici e patetici della vicenda, sfumandone o nascondendone gli aspetti più cruenti (di incerta datazione sono invece i frammenti attribuiti a una Medea di Neofrone); pochi o pochissimi frammenti restano anche dei drammi che al personaggio dedicarono i latini Ennio e Ovidio; quest’ultimo pose Medea fra le protagoniste delle sue Eroidi, attribuendole una patetica lettera d’amore a Giasone (XII); sopravvissuta e letterariamente assai fortunata è invece la Medea di Seneca, che nel personaggio vide l’incarnazione stessa del furor (non senza qualche fascinazione che ne incrina la valenza morale e didattica).
In età moderna Medea divenne soggetto drammatico per L. Dolce (ca. 1548), J.-B. De La Péruse (1555), P. Corneille (1635), J. Vos (1667), H.B. Longepierre (1694: la musicò L. Cherubini), e quindi per F.M. Klinger (Medea in Korinth, 1786; Medea auf dem Kaukasus, 1790), il primo a presentare una Medea simbolo della libertà o naturalezza barbarica, posta a confronto con una Grecia ormai civilizzata e tendenzialmente repressiva. Sulla stessa linea si mossero, con diversi accenti, F. Grillparzer (Das Goldene Vliess, trilogia tragica del 1822), J. Anouilh (Médée, 1946), C. Alvaro (Lunga notte di Medea, 1949) e quindi, con una celebre versione cinematografica in cui il personaggio di Medea è affidato a Maria Callas, P.P. Pasolini (Medea, terminata nel 1969, uscita nel 1970). Un’altra importante versione filmica si deve a Lars von Trier, in una pellicola originariamente prodotta per la televisione danese (1988). Medea è anche la protagonista di un romanzo (1996) e di un successivo adattamento teatrale della scrittrice tedesca C. Wolf, intenzionata a scagionare da ogni accusa il personaggio: vengono perciò recuperati molti tratti della Medea pre-euripidea, e in particolare l’infanticidio è attribuito ai Corinzi e non alla madre. Ciononostante, la psichiatria contemporanea ha prevedibilmente battezzato con il nome di ‘complesso di Medea’ la tendenza patologica della madre a desiderare (o causare) la morte dei propri figli.
[Federico Condello]
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