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Ibico
(gr. Íbukos, lat. Ibycus)
Notizie biografiche
Poeta lirico nativo di Reggio, in Magna Grecia, la cui akmé (cioè il pieno sviluppo biografico e intellettuale, corrispondente in genere ai quarant’anni) è fissata dal cronografo Eusebio (III-IV d.C.) al periodo 536-533 a.C., mentre l’enciclopedia bizantina Suda (X d.C.) tramanda che nel periodo 564-561 a.C. Ibico – evidentemente non da fanciullo – si sarebbe trasferito da Reggio a Samo. È in genere al primo dei due dati cronologici che gli studiosi moderni prestano maggior fede, sicché la nascita del poeta dovrà porsi intorno al 575 a.C. Figlio di un non meglio noto Púthios, Ibico doveva appartenere a una famiglia illustre della nobiltà reggina, se è vera la notizia secondo cui gli sarebbe stata offerta la tirannide della sua polis, ma egli si sarebbe rifiutato (di qui il proverbiale «più stupido di Ibico», secondo un analogo rimprovero mosso a Solone; ma il ‘rifiuto della tirannide’ rischia di essere poco più che un motivo romanzesco, peraltro ricorrente nella biografia degli autori arcaici, per esempio Empedocle). Sappiamo in ogni caso che Ibico lasciò la Sicilia e trascorse parte della sua vita a Samo, presso il tiranno Policrate (e forse già presso il padre di questi, Policrate il Vecchio, se si presta fede alla notizia della Suda), morto nel 522 a.C. Nello stesso periodo, presso la corte samia, era attivo Anacreonte. La leggenda vuole che Ibico abbia trovato la morte a Corinto per mano di alcuni briganti, e che il crimine sia stato rivelato con l’aiuto di alcune gru, uccelli ritenuti guardiani attenti delle malefatte umane (e il cui nome greco, íbix/íbis, si presta evidentemente all’accostamento pseudoetimologico con il nome di Ibico).
Opere
Le opere di Ibico presso la Biblioteca di Alessandria occupavano ben sette volumi. Di tale produzione restano a noi poco più che 170 frammenti, di cui molti assai ridotti, e soltanto alcuni di una certa entità (fra cui l’Ode a Policrate ritrovata in un papiro di Ossirinco [n. 1790]). Nell’antichità l’opera di Ibico era spesso paragonata a quella di Stesicoro, per il comune carattere mitico-eroico dei temi trattati. Gli studiosi odierni hanno reperito un ulteriore tratto di comunanza fra i due autori nella possibile appartenenza al genere della citarodia: un canto a solo, non di rado di argomento mitico, con l’accompagnamento della cetra, e dunque ben distinto dal genere corale cui tradizionalmente sia Ibico che Stesicoro venivano volentieri affiliati; ma la questione rimane più che mai aperta, e l’analisi dei metri da una parte, dei temi dall’altra, fa pendere l’opinione degli studiosi ora dal versante della lirica citarodica, ora da quello della lirica corale.
Certo è che il carattere erotico di moltissimi testi ibicei gli fece meritare sin dall’antichità la fama di «scrittore libidinosissimo» (è la definizione della già citata Suda), specie per ciò che concerne l’amore omosessuale. Tale tematica, effettivamente riscontrabile nei frammenti a noi noti (la stessa Ode a Policrate si concentra sulla bellezza, più che sul valore, del destinatario), fa pensare all’ambiente simposiale come al più adatto e al più consueto per l’esecuzione dei canti ibicei. Nello stesso senso va il topico diniego del poeta (analogo a quello che si può leggere in Anacreonte) dinanzi alla possibilità di cantare imprese belliche o gesta eroiche.
[Federico Condello]
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