Empèdocle
(gr. Empedoklês, lat. Empedocles)
Notizie biografiche
Nativo di Agrigento, figlio dell’aristocratico Metòne, Empedocle visse fra il 490 e il 430 a.C. Secondo la tradizione, che riconobbe in lui una figura sapienziale dotata di estrema autorevolezza (nonché di qualche tratto schiettamente magico), a Empedocle sarebbe stata offerta la tirannide o addirittura il titolo di re, ma egli avrebbe rifiutato e si sarebbe ritirato in volontario esilio, peregrinando attraverso la Sicilia, la Magna Grecia (dove gli si attribuiscono contatti con Senofane, Parmenide e addirittura Pitagora) e la Grecia: morì nel Peloponneso, secondo la testimonianza di Aristotele, all’età di ca. 60 anni. Difficile dire quanto della sua biografia sia storicamente fondato, e quanto si debba invece alle leggende che precocemente circolarono sulla sua persona, sul suo carattere altero e sulla sua fama di mago e taumaturgo; certo leggendaria è la notizia secondo cui egli si sarebbe ucciso gettandosi nell’Etna, al fine di far credere a una sua prodigiosa ‘scomparsa’, segno di assunzione fra i celesti.
Opere e linee di pensiero
Ad Empedocle si attribuiscono due poemi: uno di carattere marcatamente religioso, le cosiddette Purificazioni (Katharmoí), l’altro di carattere scientifico e filosofico, designato con il consueto titolo di trattato Sulla natura (Perì phúseos); la recente ricostruzione di un papiro conservato a Strasburgo (1994) ha arricchito in maniera notevole (oltre settanta versi) il corpus di ca. 450 esametri a cui si riduceva l’opera superstite del filosofo, e suggerisce di considerare i due poemi come parti di un’identica e coerente sequenza dottrinale. La scelta di esprimere il proprio pensiero in versi esametrici di chiara fattura omerica può essere considerata, da una parte, un elemento di continuità rispetto al suo presunto ‘maestro’ Parmenide, dall’altra una consapevole opzione ‘arcaicizzante’, a sottolineare il carattere strettamente elitario e quasi iniziatico del suo pensiero; Aristotele, in un giudizio rimasto celebre, negherà comunque ad Empedocle il carattere di autentico poeta, fatta eccezione per il metro. Il fulcro del pensiero empedocleo si indica nella teoria dei ‘quattro elementi’ (le cosiddette ‘radici’), ovvero terra, acqua, aria e fuoco, che egli avrebbe considerato non ulteriormente riducibili (li si confronta spesso con gli atomi di Democrito) e sottoposti alla duplice e inversa azione di due forze cosmiche, «Amore» (Philía) e «Discordia» (Nêikos), che ne causano la ciclica aggregazione e disgregazione, dando origine alle realtà fisiche, alla loro molteplicità e alla loro mutabilità. Questo nucleo teoretico – declinato in un sapere che comprende scienza naturale e medicina – nasce da un’apparente conciliazione fra le istanze dell’eleatismo (l’essere immutabile di Parmenide) e quelle della filosofia di Eraclito (la mutabilità universale), ed è facile capire come una sistemazione storico-filosofica che risale in parte già a Platone e ad Aristotele abbia voluto vedere in Empedocle (come in Anassagora e in Democrito) uno dei tentativi di ‘sintesi’ fra le opposte concezioni dei due illustri predecessori. Del resto i contatti con l’atomismo democriteo appaiono notevoli (per esempio nella teoria della percezione), ma la sostanza della filosofia empedoclea risulta di carattere mistico e religioso: a ciò fa pensare la dottrina delle cosiddette Purificazioni, fondata sulla metempsicosi e su principi a carattere tabuistico (per esempio il divieto del sacrificio animale) che la accomunano al pitagorismo.
[Federico Condello]