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Ècuba
(gr. Hekábe; lat. Hecuba)
Figlia del re frigio Dimante (così nell’Iliade e in Ovidio) o di quello tracio Cìsseo (in Euripide e in Virgilio) o del fiume Sangario (scolio a Euripide, Ecuba 3). Tra le madri che le vengono attribuite si ricordano Glaucippe, Telecleia, Evàgora, Èunoe. Regina di Troia, seconda moglie di Priamo a cui aveva generato 19 dei 50 figli (tra cui Ettore, Paride, Elèno, Cassandra, Polìssena, Polidòro), fu assegnata - dopo la caduta di Troia - come schiava a Odisseo. La tradizione vuole che avendo appreso in sogno dal figlio Polidoro morto che Polimèstore – il re cui il bambino era stato affidato insieme ai tesori di Troia – si era macchiato della sua uccisione, Ecuba gli strappasse gli occhi e per questo fosse condannata alla lapidazione. Si narra tuttavia che sotto le pietre anziché il cadavere si ritrovasse una cagna con gli occhi di fuoco; secondo altre versioni del mito, invece, Ecuba, inseguita dai compagni di Polimestore, fu trasformata in cagna o cerbiatta o, ancora, si dice che accompagnò Eleno nel Chersonèso. Divenne comunque emblema della caducità o instabilità della fortuna umana. La figura di Ecuba compare in molti drammi antichi (per esempio, l’Ecuba e le Troiane euripidee; le Troiane di Seneca).
[Elena Esposito]
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