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Macchine teatrali
Senz’altro ignote alle embrionali rappresentazioni che, nelle forme della farsa popolaresca e in generale dell’improvvisazione drammatica, costituiscono l’antefatto del teatro antico, le macchine teatrali acquisirono un’importanza via via crescente nel corso dell’età classica, sino a divenire strumenti scenici fondamentali con il teatro di Euripide (che anche per questo suscitò le ironie di Aristofane, che lo mise in burla, per esempio, negli Uccelli). Le macchine teatrali note alle scene classiche furono essenzialmente l’ekkúklema (una sorta di piattaforma girevole o scorrevole che consentiva di esibire al pubblico o portare in primo piano gli interni, ovvero di favorire un pur rudimentale cambio di scena, sul cui effettivo uso il dibattito è ancora aperto: un’accurata descrizione dello strumento si avrà solo in Polluce, nel II sec. d.C.) e soprattutto la mechané, una gru manovrata da un argano che permetteva di far apparire in volo le divinità, e che si lega strettamente all’artificio narrativo noto con il nome di deus ex machina (appunto «il dio che viene dalla mechané»), consistente nell’improvvisa apparizione di un personaggio divino che scioglie con fatale autorevolezza, e in maniera istantanea, l’intreccio della vicenda. Accanto all’ekkúklema e alla mechané il teatro classico conosceva altri, meno vistosi ‘effetti speciali’: per es. strumenti per simulare tuoni e boati (il cosiddetto bronteîon), impalcature per mostrare divinità in scene celesti (il cosiddetto theologeîon), torri per innalzare personaggi dalla scena (il keraunoskopeîon), strutture a più piani per scene a diversa altezza (la distegía), e via dicendo. Tali artifici furono guardati sempre con una certa diffidenza, nel quadro di un teatro che vocazionalmente rimaneva teatro di corpo e di parola.
[Federico Condello] |