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Attori
Il termine greco per designare l’attore, a differenza del termine latino (da cui il termine italiano) che sottolinea l’aspetto propriamente drammatico (l’azione), evidenzia piuttosto l’aspetto verbale e recitativo: hupokrités (da cui, per successivo traslato, il nostro ‘ipocrita’) indica innanzitutto «colui che risponde» (hupokríno). L’attore si connota così quale partecipante a un dialogo, che in origine – se si deve credere alla teoria di Aristotele sull’origine della tragedia dal dialogo fra il capocoro e il coro del ditirambo – doveva dar luogo a uno scambio di battute assai semplificato. Con l’elevazione del numero degli attori da uno a due (innovazione attribuita tradizionalmente a Eschilo) e quindi a tre o addirittura quattro (con Sofocle), le strutture drammaturgiche si fecero evidentemente molto più complesse.
In origine l’attore – un soggetto non infrequente nell’iconografia vascolare antica – aveva probabilmente un carattere non professionale; almeno sino a Sofocle, è ben attestato l’uso secondo cui il tragediografo stesso recita nella messinscena della sua opera; solo nella seconda metà del V sec. a.C., e poi più ancora in età tardo-classica ed ellenistica, gli attori cominciarono a mostrare una fisionomia professionale autonoma, ad essere riconosciuti in quanto tali dagli spettatori e a divenire – spesso ancor più degli stessi tragediografi – beniamini del pubblico. Non si può escludere che proprio sulle particolari caratteristiche vocali o drammatiche di determinati ‘divi’ siano stati non di rado adattati i testi originali delle tragedie, che anche per questa via possono aver conosciuto non marginali ritocchi e interpolazioni.
In ogni caso, almeno sino alla diffusione del mimo in età imperiale, l’attore rimase una professione esclusivamente maschile: anche i ruoli femminili, infatti, venivano interpretati da uomini abbigliati da donna e dotati di maschere muliebri, secondo ben precise convenzioni. Sappiamo che in età ellenistica essi iniziarono a riunirsi in compagnie organiche, dotate di un loro repertorio e probabilmente itineranti.
Ben poco conosciamo dello stile attoriale caratteristico dell’età antica, ma certo il mestiere doveva richiedere, con il progredire della drammaturgia, doti non indifferenti di specializzazione, se non altro in termini di qualità vocali e gestuali, che per la peculiare natura del teatro antico saranno state particolarmente accentuate (non a caso il teatro comico del V sec. a.C. comincia a serbare memoria di celebri ‘papere’ occorse agli attori). Specialmente a partire da Euripide all’attore si richiesero anche notevoli doti canore, poiché andò sempre più diffondendosi l’uso di far cantare agli attori sezioni liriche del dramma, in ottemperanza alle contemporanee evoluzioni della tecnica musicale: allo stesso Euripide spetta anzi l’introduzione di cospicue novità sia sul piano della struttura drammatica (con ampio ricorso a monodie, duetti, canti amebei, etc.), sia su quello dell’accompagnamento musicale (sotto l’influenza esercitata dagli sperimentalismi vocali e strumentali del ‘nuovo’ ditirambo), che riflettono e contemporaneamente incoraggiano il nuovo ruolo ricoperto da virtuosi e solisti dediti ormai a un’autentica e altamente specializzata professione.
[Federico Condello]
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