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Il Medioevo
Approfondimento
In una lettera inviata a Boccaccio nel 1373 (
Seniles
XVII,
3), Francesco Petrarca parla del Decameron senza mostra-
re grande entusiasmo:
Mi son visto recapitare, non so da dove né in che modo,
un tuo libro che, come credo, componesti nel nostro
volgare al tempo della giovinezza. Se dicessi di averlo
letto mentirei: il volume era davvero grosso, destina-
to al volgo e in prosa. Gli ho dato un’occhiata, come fa
il viaggiatore frettoloso che si guarda intorno qua e là
senza fermarsi. Mi sono divertito nello scorrerlo; e se
mi sono imbattuto in qualche eccesso di licenziosità, ti
scusavo per l’età che avevi allora, per lo stile, e la lingua,
per l’inconsistenza dell’argomento e dei futuri lettori.
In realtà, la lettera testimonia – nonostante Petrarca insista
anche più avanti nel negarlo – una lettura attenta dell’opera,
dato che ne vengono menzionate e commentate in manie-
ra piuttosto dettagliata varie parti: l’autodifesa boccacciana
nell’introduzione alla IV giornata e nella parte conclusiva, la
libera materia amorosa, le parti «ridicole e leggere» e quel-
le invece più gravi:
Tra le molte novelle ridicole e leggere ne ho trovata
qualcuna solenne e composta, sulle quali però non ho
elementi di giudizio definitivo dal momento che non
mi sono affatto applicato a un’attenta lettura.
Dopo aver sottolineato la varietà di stili che Boccaccio è riu-
scito a orchestrare, ed espresso apprezzamento per l’inizio
dell’opera, in cui Boccaccio ha saputo fornire «una narrazio-
ne appropriata e un grandioso lamento sulla situazione della
nostra patria al tempo, riconosciuto come il più luttuoso e mi-
sero, di quella tremenda pestilenza», Petrarca loda la novella
conclusiva, che corrisponde agli ideali di moralità ed eroismo
che avevano ispirato, sul modello degli autori classici, certe
opere petrarchesche in latino. L’apprezzamento, aggiunge
Petrarca, è stato tale che egli ha deciso di tradurla in latino:
Alla fine [...] hai collocato l’ultima novella di gran lunga
differente dalle precedenti; mi è piaciuta e mi ha avvin-
to al punto da volerla imparare a memoria, nonostante
le mille preoccupazioni che mi facevano quasi dimen-
ticare di me stesso [...]. Perciò un giorno, anche se ero
immerso in diversi pensieri che mi straziavano l’anima,
mi ribellai ad essi e a me, li allontanai per tempo e, af-
ferrata la penna, cominciai a scrivere la tua stessa no-
vella, nella speranza che tu ti saresti sicuramente ral-
legrato di avermi come traduttore dei tuoi scritti [...]
ho reso la tua novella con parole mie, anzi in qualche
caso ho sostituito le tue, in altri ne ho aggiunte [...].
Benché tale traduzione sia lodata e richiesta da molti,
ritengo di dover dedicare a te e non ad altri questa ope-
ra che è cosa tua. [...] Da dove è nata ora essa torna.
Quella di Petrarca è una vera e propria riscrittura-traduzio-
ne della novella di Griselda, volta a un fine di edificazione e
ammaestramento morale e religioso, evidente a partire dal
titolo (De insigni oboedientia et fide uxoria, ossia «La gran-
de obbedienza e la fedeltà di una moglie») ed esplicitamen-
te dichiarato nel commento posto in calce alla traduzione:
Mi è parso bene riscrivere ora con altra penna questa
novella, per esortare non tanto le nobili donne del
nostro tempo ad imitare la sopportazione di questa
sposa (mi sembra che difficilmente la si possa imita-
re), quanto i lettori a prendere esempio almeno dal-
la fermezza di questa donna, perché abbiano la forza
di dare al nostro Dio ciò che ella diede al suo uomo,
sebbene Dio – come dice l’apostolo Giacomo – non
sia un tentatore di male e non tenti nessuno. Tuttavia
egli ci mette alla prova, e permette che siamo spes-
so colpiti da molti e gravi flagelli, non per conoscere
lui il nostro animo (lo conosceva da prima che noi
fossimo creati), ma per far conoscere a noi, con se-
gni chiari e familiari, la nostra fragilità.
Avrei motivi sufficienti per ascrivere fra gli uomini for-
ti colui – chiunque egli fosse – che sopportasse senza
mormorare per il suo Dio ciò che questa donnicciola di
campagna sopportò per il suo sposo mortale.
La traduzione petrarchesca assicura alla novella, per se-
coli, una diffusione europea, e imprime un impulso note-
vole alla circolazione dell’intero Decameron e del nome di
Boccaccio. Inoltre, proprio la rielaborazione petrarchesca
è alla base di numerose opere pittoriche incentrate sulla
vicenda di Griselda.
(Le citazioni sono da G. Boccaccio - F. Petrarca, Griselda,
a cura di L.C. Rossi, Palermo, Sellerio, 1991,
e da F. Petrarca, Opere latine,
a cura di A. Bufano, vol. II, Torino, UTET, 1975).
Approfondimento
Petrarca lettore del Decameron e traduttore della Griselda
Francesco di Stefano, detto il Pesellino, dettaglio dalle Storie di Gualtieri
e Griselda,1445 ca.
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