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Giovanni Boccaccio
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Il Decameron
Franz Xaver Winterhalter, Decameron, 1837.
per la borghesia, nuova classe sociale dominante,
da sempre incline a cedere a degenerazioni eti-
che e morali come l’avarizia, la grettezza, il catti-
vo gusto. Anche nella
complessa contestualiz-
zazione storico-culturale
del
Decameron
, infine,
è necessario tener presente da un lato il
solido
rapporto dell’autore con la tradizione cultura-
le del Medioevo cristiano
, dall’altro la sua
capa-
cità di interpretare i propri tempi con tutte le
loro novità
. Nel
Decameron
, in definitiva, al di
là di ogni schematizzazione culturale,
l’osserva-
zione e la rappresentazione della inesauribile
varietà del mondo
sembrano prevalere perfino
sull’ideologia dell’autore, sulle sue convinzioni
religiose, sui suoi valori morali. La varietà della
materia trattata e dei generi letterari di riferimen-
to ha nel
Decameron
un importante corrispettivo
sul piano linguistico e stilistico:
la multiforme
contemporaneità viene resa mediante il ricor-
so ai più svariati registri linguistici
(popolare-
schi, cortesi, giuridico-notarili, commerciali) e,
sul piano linguistico-geografico, attraverso l’uso
di inflessioni e locuzioni proprie delle differenti
realtà locali. Questo è uno dei motivi per cui si
può parlare di «
pluristilismo
» del
Decameron
,
per certi versi vicino alle sperimentazioni dan-
tesche, in opposizione al monostilismo raffinato
e selettivo di Petrarca. Pur nella varietà stilistica,
tuttavia, prevale nel
Decameron
(che l’autore di-
chiara di avere scritto in «fiorentin volgare» e «in
istilo umilissimo e rimesso») il
registro medio
,
o mediano, ossia lontano tanto dai toni sublimi
e tragici, tanto da quelli triviali e popolareschi.
All’interno di questo ambito stilistico non man-
cano variazioni improntate al criterio della «
con-
venientia
» (l’adeguatezza dello stile alla materia):
in certe occasioni lo stile si fa più sostenuto ed
elaborato (nelle
Introduzioni
, nelle dichiarazioni
dell’autore ai lettori, nella cornice, nelle novelle
«serie»), in altre più disinvolto e colloquiale, e
non privo di locuzioni dialettali e popolari (co-
me, per esempio, nelle novelle di Calandrino).
Anche l’
eredità della lingua latina
viene utiliz-
zata, specie sul piano sintattico, per coniugare
l’andamento ordinato del ragionamento con una
flessibilità che aderisce alle cose e alle vicende. In
questo modo Boccaccio crea una lingua ricchissi-
ma e duttile, che diventerà, specie dopo la con-
sacrazione che ne fece Pietro Bembo nelle
Prose
della volgar lingua
(1525), il modello indiscusso
della prosa letteraria italiana per diversi secoli.
Le fonti e la fortuna del Decameron
 Tra
le fonti del
Decameron
si possono individuare il
romanzo greco
di età ellenistica e imperiale, il
romanzo latino
(specie
L’asino d’oro
di Apule-
io), la
poesia elegiaca di Ovidio
, il
romanzo
cortese e cavalleresco
(sia nella sua espressio-
ne colta sia in quella popolare e canterina), i
fa-
bliaux
(componimenti popolari in versi france-
si di argomento spesso licenzioso), le raccolte di
exempla
a sfondo etico-religioso, la raccolta ano-
nima di racconti del
Novellino
e anche, soprat-
tutto per certe immagini e stilemi, la
Commedia
di Dante. La struttura «a cornice», che comporta
la presenza di personaggi che raccontano storie
mentre su di loro incombe un pericolo mortale
(la peste, nel
Decameron
), è tradizionale in tut-
te le letterature e compare, oltre che in Apuleio,
nella monumentale raccolta araba di racconti
Le
mille e una notte
e nel
Libro dei sette savi di Roma
,
versione toscana del XIII secolo di una raccolta
di racconti indiani.
Il successo del
Decameron
fu immediato e va-
stissimo
, favorito anche dalla traduzione in lati-
no della novella di Griselda da parte di Petrarca.
Nei secoli XIV e XV circolarono numerosi mano-
scritti del volume, soprattutto negli ambienti della
borghesia mercantile. Le prime edizioni a stampa
furono realizzate a Napoli nel 1470 e a Venezia
nel 1471; verso la fine del Quattrocento appar-
vero le prime traduzioni, in tedesco, in francese
e in spagnolo. A partire dal 1559, in pieno clima
controriformistico, l’opera fu inserita nell’elenco
dei libri proibiti dalla Chiesa e, dopo quella da-
ta, furono disponibili per molto tempo solo copie
debitamente «purgate» e moralizzate, ossia pri-
vate dei passi ritenuti più offensivi della morale
cattolica e dell’istituzione ecclesiastica.
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