Giovanni Boccaccio
40
Il Decameron
La parola alla critica
Eugenio Montale, L’amore nel «Decameron»
In questo brano, tratto da una lettura dedicata alla settima giornata del
Decameron
, Eugenio Montale de-
finisce i temi-cardine dell’opera, al centro dei quali è l’amore.
Le quattro grandi molle del
Decamerone
, i quattro perni sui quali ruota tutto il complesso e formidabile mon-
do dei personaggi, sono l’amore, l’ingegno, la pura vitalità degli istinti e la virtù. L’amore, vivissimo sentimen-
to del Boccaccio, è anche viva parte della sua poetica. Il libro è dedicato alle donne, «scritto in soccorso e rifu-
gio di quelle che amano». L’amore è per lui la sacra voce della giovinezza e non ha altra legge che in se stesso:
il culto della donna per il Boccaccio è il culto più verace della vita. All’ingegno è reso omaggio in quasi tutte le
novelle del
Decamerone
in cui sempre la dabbenaggine è spietatamente perseguitata: la «trovata», la «battuta»,
la presenza di spirito hanno indubbiamente nel Boccaccio un paladino fedele. La pura vitalità degli istinti è do-
vunque presente nel poema: per lo più congiunta all’amore ma talvolta libera e autonoma, con una spregiudi-
catezza che stupisce perché è già rinascimentale [...]. Oltre il formicolio delle avventure facili, dei compromes-
si e dei sollazzi, oltre l’effetto breve della battuta, noi amiamo ricordare l’ampiezza umana dei suoi personaggi
più veri che vivono e si muovono nell’alone incantato di un ideale, di una speranza, di un amore al singolare
che non si accontenti di essere spiritoso, di essere rubato.
E. Montale,
Il secondo mestiere. Prose 1920-1979
, Milano, Mondadori, 1996
natari – le «vaghe donne», e in particolare «quel-
le che amano» – e alla funzione consolatoria af-
fidata al libro, «
cognominato prencipe Galeot-
to
». All’amore sono interamente riservate ben tre
giornate: la quarta, consacrata agli amori infelici e
tragici; la quinta, riservata agli amori felici; la set-
tima, incentrata sull’adulterio; inoltre nelle novelle
della terza giornata si riacquista mediante l’intra-
prendenza «la cosa molto desiderata [...] o la per-
duta» e che coincide sempre con l’amore; infine,
diverse novelle dedicate a vicende amorose sono
sparse nelle altre giornate. I novellatori, dunque,
esplorano l’amore pressoché in tutte le sue pos-
sibilità ed espressioni: l’
amore sublime
che ele-
va, come accade al brutale Cimone, e che si sal-
da alla magnanimità cortese, come nella novella
di Federigo degli Alberighi; l’
amore contrastato
che attraverso mille prove giunge all’appagamen-
to, come quello di Teodoro e la Violante; l’
amore
tragico
che sparge sangue e lacrime, come quello
di Lisabetta da Messina o di Ghismunda; l’
amo-
re adulterino
, praticato assiduamente (specie da
mogli insoddisfatte, come Peronella o Sismonda)
con spregiudicata abilità e spinto fino al raggiro
beffardo e alla spietata vendetta; l’
amore capa-
ce di ogni sacrificio
, come quello di Griselda, e
l’
amore che si spinge all’osceno
, come in molte
delle novelle raccontate dal trasgressivo Dioneo.
Il potere dell’amore e lo sguardo laico
La
potenza dell’amore è irrefrenabile
per tutti: don-
ne e uomini, giovani come Ricciardo e Caterina
o vecchi come re Carlo, frati e donne sposate, si-
gnori come Tancredi e Ghismunda e operai come
Simona e Pasquino. L’amore, essendo una incon-
trastabile energia della natura, è infatti connotato
nel
Decameron
in senso decisamente «democra-
tico»: così, la nobile Ghismunda si innamora del
valletto Guiscardo e il palafreniere del re Agilul-
fo si innamora della regina Teodolinda, e si trat-
ta di amori profondi ed elevati.
La cortesia e la
nobiltà d’animo non sono infatti legate né alla
nobiltà del sangue né alla ricchezza
– e proprio
per questo si scontrano spesso violentemente con
la
ragion di mercatura
da cui sono animati i per-
sonaggi borghesi (si pensi ai fratelli di Lisabetta
da Messina). L’amore, d’altro canto, ha in sé una
virtù nobilitante. Già lo Stilnovo aveva concepi-
to la nobiltà d’animo (la «gentilezza») come una
qualità collegata a una aristocrazia intellettuale
e non sociale, ma Boccaccio va oltre, attribuen-
do anche a personaggi di umili origini (come la
Simona) sentimenti sublimi e dignità tragica. Se
l’amore è un’energia naturale e universale, il ve-
ro peccato non è più cedere alla sua forza (come
accadeva nella cultura medievale, in Dante, an-
cora in Petrarca) bensì tentare di resisterle, come
dimostra la novella di Nastagio degli Onesti. La
prospettiva trascendente e provvidenziale, in que-
sto senso, viene non negata, bensì lasciata fuori
dai confini del narrabile: questo
sguardo laico
caratterizza, in generale, l’intero
Decameron
, in
cui
la dimensione del racconto è tutta umana
e terrena
, concentrata sulle relazioni tra gli uo-
mini e sul rapporto tra l’uomo e il suo ambiente
sociale e naturale.
V1_387_495_Boccaccio.indd 401
20/01/