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Giovanni Boccaccio
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Il Decameron
La parola alla critica
Vittore Branca, L’epopea dei mercanti
Il critico Vittore Branca ha interpretato il
Decameron
come una straordinaria trasfigurazione letteraria del-
la civiltà del Trecento, caratterizzata dallo spirito di iniziativa, dal dinamismo, dalla spregiudicatezza: un
mondo che Boccaccio conosceva bene, per esservi nato e cresciuto.
La rievocazione della civiltà italiana nell’autunno del Medioevo, che si è rivelata nel
Decameron
grandiosa e sug-
gestiva, trova uno dei suoi centri più vivi e affascinanti nella serie di avventurosi e mossi affreschi in cui si riflet-
te la ricchissima vita mercantile tra il Duecento e il Trecento. Per la prima volta nella letteratura europea riceve
alta consacrazione questo movimento decisivo per la nostra storia, promosso e diretto da quei veri eroi dell’in-
traprendenza e della tenacia umana, da quel pugno d’uomini lanciati alla conquista dell’Europa e dell’Oriente.
Isolata ancora nell’opera di Dante in un cerchio di aristocratico disprezzo per «la gente nova e i subiti guada-
gni», ignorata come inferiore o estranea dalla raffinata esperienza del Petrarca, restata ai margini persino nelle
opere storiche di un Compagni o nello stilizzato narrare del
Novellino
, questa società irrompe nella «comme-
dia umana» del
Decameron
e la domina con la sua esuberante vitalità. Non ci riferiamo solo alla folla di temi,
di ambienti, di personaggi, di usi, di riferimenti vari che colora più della metà delle novelle con le tinte vivaci
e sanguigne proprie a questo mondo. È la centralità nello stesso disegno ideale dell’opera, nel suo significato
esemplare in senso umano e artistico, a configurare la presenza di questo ceto nella fantasia narrativa del Boc-
caccio come caratteristica, e si vorrebbe dire insostituibile allo svolgersi del
Decameron
. Perché il grandioso te-
ma di questa «commedia umana del Medioevo», cioè la rappresentazione della misura che l’uomo dà delle sue
doti e delle sue capacità al confronto delle grandi forze che sembrano dominare l’umanità (Fortuna, Amore, In-
gegno), non poteva trovare in quella età esempi di più potente e prepotente eloquenza rappresentativa. Dopo
le dorate sequenze dei cavalieri della spada, accarezzate ormai solo dalla memoria e da una sottile nostalgia, è
proprio il mondo dei nostri mercatanti che, fra il Duecento e il Trecento, offre i campioni più vivi e aggressivi
nell’agone con quelle forze sovrumane.
V. Branca,
Boccaccio medievale e nuovi studi sul
Decameron, Firenze, Sansoni, 1996
ti, la cornice rappresenta il
principio di ordine
che, sottraendo tale varietà al caos rappresentato
dalla peste narrata nell’introduzione, può disci-
plinarla in
una struttura che restituisce un as-
setto e un senso basati su valori alternativi
(la
temperanza, la tolleranza, l’intelligenza, la parola
organizzata nel ragionamento e nella narrazione)
a quelli del travagliato mondo esterno. Inoltre, la
cornice costituisce un
filtro fra l’opera e il suo
autore
: Boccaccio, delegando ai dieci giovani il
compito di raccontare le novelle, può introdur-
re nell’opera una pluralità di voci narrative e di
punti di vista sul reale senza identificarsi in ma-
niera esclusiva con nessuno di essi: i dieci giova-
ni, a seconda delle loro personali caratteristiche,
rappresentano diversamente un mondo in cui si
alternano comportamenti disparati, nobili o in-
fami, generosi o avidi, ortodossi o eretici, degni
di lode o di biasimo. Infine, gli stessi dieci no-
vellatori appaiono ben coscienti della
differenza
tra la vita che conducono e quella che raccon-
tano
: essi – e in particolare le sette novellatrici –
non corrono quindi il rischio di cadere nell’er-
rore della dantesca Francesca, che finisce all’In-
ferno per aver confuso la letteratura con la vita.
Tempi, spazi, figure
La cornice fissa in ma-
niera esplicita, con il riferimento alla peste nera,
la
collocazione spaziale e cronologica
: la «lieta
brigata» agisce e racconta nella
Firenze del 1348
,
quindi nel luogo e nel tempo dell’autore stesso.
Tuttavia, le vicende narrate dai dieci giovani si
ambientano in
epoche diverse
(in prevalenza gli
anni contemporanei all’autore o quelli della gene-
razione precedente, ma anche nel tempo di Car-
lo Magno, o in una meno definita antichità) e in
luoghi geografici disparati
(Firenze e le città to-
scane ma anche Napoli, Roma, Venezia, Ravenna,
Messina, e poi Parigi, la Borgogna, la Palestina,
il Mediterraneo, perfino la Cina...). Nelle pagine
del
Decameron
si muovono inoltre
rappresentanti
di tutti i ceti dell’Italia comunale
(mercanti in-
nanzi tutto, e poi banchieri, usurai, notai, medici,
contadini, filatori di lana, servi, domestici, lette-
rati, pittori, briganti, avventurieri, chierici, frati),
ma anche sovrani e cavalieri, nobili e castellane:
infatti, come si legge nella
Conclusione
, «Convie-
ne nella moltitudine delle cose diverse qualità di
cose trovarsi». Anche per questa brulicante varie-
tà di figure, comportamenti e valori il
Decameron
è stato definito dal critico Francesco De Sanctis
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