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L’Ottocento
Canti
La donna amata, come
la natura circostante, è
immersa nella quiete,
ignara e incurante del
tormento del poeta.
T6
La sera del dì di festa
Canti
, XIII
Coordinate
 Composta probabilmente nel 1820, 
la lirica fu pubblicata per la prima volta nel 1825 
sulla rivista «Il Nuovo Ricoglitore» e quindi l’anno 
seguente nell’edizione bolognese dei 
Versi
. Inserita 
nei
Canti
nel 1831, è collocata subito dopo
L’infini-
to
e fa parte dei cosiddetti «piccoli idilli».
Il testo
 Nella serena notte di luna che conclude 
un giorno festivo, la ragazza di cui il poeta si è in-
vaghito dorme serena, ignara dell’amore senza spe-
ranza che ha suscitato nel suo cuore. Egli invece ve-
glia in preda alla disperazione, privato di ogni gioia 
da una natura malvagia. Un canto solitario che rie-
cheggia nella notte suscita in lui il pensiero del po-
tere distruttivo del tempo e dell’inevitabile svanire di 
ogni vicenda umana, dalle gloriose imprese dei popo-
li antichi ai dolori dei singoli individui. Ai tormenti 
d’amore si sostituisce la struggente malinconia, già 
provata nell’infanzia, per il fatale oblio in cui tutto 
è destinato a cadere.
Metrica
Endecasillabi sciolti.
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
1
posa
2
la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna
3
. O donna mia
4
,
5
già tace ogni sentiero, e pei balconi
rara traluce la notturna lampa
5
:
tu dormi, che t’accolse agevol sonno
nelle tue chete stanze
6
; e non ti morde
cura nessuna
7
; e già non sai né pensi
10
quanta piaga
8
m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
appare in vista, a salutar m’affaccio
9
,
e l’antica natura onnipossente,
che mi fece all’affanno
10
. A te la speme
11
15
nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne
12
: or da’ trastulli
prendi riposo
13
; e forse ti rimembra
14
in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
20
piacquero a te: non io, non già ch’io speri,
al pensier ti ricorro
15
. Intanto io chieggo
quanto a viver mi resti
16
, e qui per terra
mi getto, e grido, e fremo
17
. Oh giorni orrendi
1.
queta ... orti:
quieta sopra le case
(«tetti»,
per metonimia)
e sui giardini
(«orti» è un latinismo)
.
2.
posa:
sta immobile
, ma il verbo umanizza la lu-
na che sembra “riposare” nel cielo.
3.
di lontan ... montagna:
il chiarore della lu-
na permette di scorgere
(«rivela»)
il profilo nitido
delle montagne in lontananza.
4.
donna mia:
il poeta si rivolge a una ragaz-
za amata, forse solo un fantasma della fantasia.
5.
pei balconi ... lampa:
attraverso i balconi fil-
tra qua e là
(«rara traluce»)
la luce d’una lampada
accesa per la notte.
6.
che ... stanze:
poiché ti accolse un sonno faci-
le e spontaneo
(«agevol»)
nelle tue stanze tranquil-
le
; «chete» riprende «queta» del v. 2, riferito alla luna.
7.
non ti ... nessuna:
non ti tormenta nessun af-
fanno
(«cura», latinismo)
.
8.
quanta piaga:
che grande ferita d’amore.
9.
io ... m’affaccio:
io invece mi affaccio a con-
templare questo cielo, tanto benevolo in appa-
renza
(«in vista»)
.
10.
l’antica ... affanno:
e
(mi affaccio a contem-
plare anche)
la natura eterna
(«antica»)
e onnipo-
tente, che mi ha destinato al dolore.
11.
speme:
speranza.
12.
Questo ... solenne:
questo è stato un gior-
no di festa.
13.
da’ trastulli ... riposo:
ti stai riposando
dopo gli svaghi.
Il poeta si rivolge ora alla don-
na amata.
14.
ti rimembra:
ti ricordi.
15.
non io ... ricorro:
io non ricorro certo nei tuoi
pensieri, e non oso nemmeno sperarlo.
16.
chieggo ... resti:
chiedo a me stesso quan-
to tempo mi resti da vivere.
17.
fremo:
mi agito.
TUTORIAL
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