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L’Ottocento
Leopardi e la modernità
dell’esistenza, affrontata con un sapiente equilibrio
di
suggestione lirico-evocativa e rigore filosofi-
co
. La
tensione etica
che anima il poeta non esclu-
de peraltro che la poesia possa svolgere una
funzio-
ne consolatoria
, sia pure attraverso l’evocazione di
un piacere illusorio.
Le scelte stilistiche
Del tutto particolari so-
no, infine, anche le scelte stilistico-espressive adot-
tate da Leopardi nei
Canti.
Anche in questo ambito
egli rifiuta alcuni presupposti della poetica roman-
tica,
respingendo
la superficialità del patetico e
lo
squilibrio di un’arte immediata e scomposta
per
ricollegarsi idealmente ai
modelli classici
e alla lo-
ro pacata armonia. Il rifiuto di ogni forma di imi-
tazione passiva e di vuoto formalismo trattiene pe-
rò la poesia leopardiana ben al di qua del classici-
smo di maniera, portando anzi le laceranti tensio-
ni del suo animo – tutte romantiche nella sostanza
– a esprimersi in forme evocative e musicali, in cui
i contrasti, ancorché non risolti, trovano
una sorta
di catarsi
e un parziale equilibrio.
Leopardi
e la modernità
Il ‘male di vivere’
 Per i suoi contenuti e per
le sue forme, la lirica leopardiana rappresenta
un
modello
a cui i poeti del secolo successivo guar-
deranno con particolare attenzione, riprendendo-
ne in modi più o meno originali spunti e sugge-
stioni, adattandolo a un diverso contesto storico-
culturale, ma anche riconoscendo in esso
temati-
che universali
e sempre valide.
Tra i molti aspetti che avvicinano l’opera di Leo­
pardi alla sensibilità moderna, il più evidente è
l’acuta percezione della
sofferenza insita nella
vita
dell’uomo
di ogni tempo. La felicità nega-
ta, l’aspirazione sempre frustrata al superamento
dei limiti, l’assenza di senso della vita e la doloro-
sa esperienza della noia sono temi ricorrenti nella
sua lirica, sperimentati in prima persona e ricon-
dotti a sistema nella sua riflessione filosofica. La
consapevolezza della
disarmonia tra ‘io’ e ‘mon-
do’
, tipica del Romanticismo, si accentuerà del re-
sto ancor più nel corso del Novecento, trovando
una rinnovata formulazione nel «male di vivere»
che pervade l’opera di
Eugenio Montale
. Ripren-
dendo in parte spunti leopardiani, nella lirica omo-
nima Montale esprime appieno la sofferenza insita
nella vita dell’uomo e di ogni creatura vivente (nel
«rivo strozzato», nella «foglia riarsa», nel «cavallo
stramazzato»), non confortata da alcuna prospet-
tiva trascendente.
La ricerca di senso
Leopardi anticipa del re-
sto il disagio moderno non solo nel riconoscere il
dolore, ma anche nell’esprimere il disorientamen-
to che coglie l’uomo di fronte all’apparente
assen-
za di senso e finalità dell’esistenza
. Le accorate
domande
che il pastore del
Canto notturno
rivolge
alla luna e che – come quelle dell’Islandese nelle
Operette morali
– sono destinate a restare senza ri-
sposta, riguardano il significato ultimo della real-
tà e della vita, che a Leopardi appare già, come ai
grandi autori del Novecento, una sorta di inspie-
gabile enigma. Un’analoga e irrisolta ricerca di sen-
so si ritrova sia nella poesia di Montale
(attraverso
l’immagine ricorrente del «varco», sempre evoca-
ta e continuamente negata)
sia nell’opera di Italo
Calvino
, nell’idea che tutta l’arte sia in certa misu-
ra una (vana)
«sfida al labirinto»
di fronte a una
realtà sempre più complessa, ma di cui non si ri-
nuncia a cercare il significato. Leopardi inaugura
quindi una stagione nuova, in cui
all’arte non si
richiede più la soluzione
ai problemi esistenziali
dell’uomo (si pensi, citando ancora Montale, a
Non
chiederci la parola
),
bensì la riflessione
, spesso do-
lorosa ma sempre lucida, sulla condizione umana.
Edvard Munch, Disperazione, 1892.
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