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Giacomo Leopardi
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Leopardi e la modernità
Natura, civiltà e progresso
 Nell’elabora-
zione del pessimismo leopardiano un ruolo cen-
trale è svolto anche dalla riflessione sulla natura e
sul
rapporto tra natura e civiltà
, che si configura
secondo modalità dinamiche nelle diverse fasi del
suo pensiero. A una
natura benevola
cui si con-
trappone, sulla scorta di Rousseau, il potere nega-
tivo della civiltà, si sostituisce nella fase del «pes-
simismo cosmico» l’immagine di una
natura ma-
trigna
, indifferente se non ostile all’uomo, mentre
nella
Ginestra
si affaccia una rivalutazione della
«so-
cial catena»
come estremo baluardo contro i mali
comuni dell’umanità.
L’opposizione tra natura e civiltà è vivamente perce-
pita tra XVIII e XIX secolo, in conseguenza degli esi-
ti dell’
industrializzazione
e del crescente urbanesi-
mo. In seguito il conflitto si acuisce e conduce molti
poeti al desiderio di
regredire
in seno a una
natu-
ra intatta e idealizzata
, concepita ora come
fon-
te di vita
e di energia primigenia (il panismo dan-
nunziano), ora come
depositaria del mistero
che
si apre oltre la morte (come nella poesia di Pascoli).
Alla riflessione sulla natura si accompagna in Leo-
pardi la decisa
critica verso l’antropocentrismo
e ogni facile ideologia consolatoria. All’ottimistica
fiducia nel progresso dell’umanità e dei «lumi» egli
oppone – soprattutto nelle
Operette morali
e nel-
la
Ginestra –
l’amaro sarcasmo di chi si sente con-
sapevole della fragilità dell’essere umano nell’uni-
verso. In prospettiva, questo sentire critico è assai
lontano sia dalla fiducia nella scienza tipica del Po-
sitivismo, sia da certa idolatria della tecnica e del-
le sue conquiste che ha segnato tempi più recen-
ti. Ma anticipa lo spirito che animerà, all’inizio del
Novecento, i cosiddetti
«maestri del sospetto»
come Nietzsche e Freud, pienamente consapevoli
del «disagio della civiltà» indotto dall’età moderna.
L’eredità poetica
Anche sul piano più stret-
tamente letterario, il debito della poesia novecen-
tesca nei confronti dell’opera di Leopardi è tutt’al-
tro che trascurabile.
Nelle
tematiche
, la centralità dell’io lirico e l’equi-
valenza tra stato d’animo del soggetto e condizione
umana nella sua essenza avranno grande sviluppo
in tutta la lirica del Novecento. In particolare, il
motivo del ricordo risulterà centrale nella poesia
di Montale, mentre l’idealizzazione dell’adolescen-
za e l’idea stessa del «poeta-bambino» sarà ripresa,
in forme diverse, sia da Pascoli (con la poetica del
«fanciullino») sia da Umberto Saba.
Dal
punto di vista formale
, il linguaggio dei
Can-
ti
amplia il lessico poetico
che discendeva dalla
tradizione petrarchesca, aprendosi a termini col-
loquiali senza rinunciare a una patina classicheg-
giante.
Nella
metrica
, sempre a Leopardi si deve l’inven-
zione della cosiddetta
canzone libera
che, prescin-
dendo da ogni rigido schema strofico, piega la mu-
sicalità della lirica alle esigenze espressive, antici-
pando in parte la nascita del verso libero.
Più in generale, attraverso la «poetica del vago» la
ricerca poetica leopardiana apre la strada al filone
della
‘lirica pura’
di Ungaretti e dei poeti ermetici,
mentre lo stile volutamente dissonante dell’ultima
fase poetica apre prospettive che saranno svilup-
pate dalla
corrente antinovecentista
con l’opera
di Saba e di Montale.
John Frederick Peto,
Natura morta con libri
e calamaio, 1899.
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