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trovava credito soprattutto presso gli agricoltori nel rito degli
ambarvalia
(«processione intor-
no ai campi»), in cui gli animali sacrificali (
suovetaurilia
era il nome del sacrificio e indicava le
tre vittime, cioè un maiale, una pecora e un toro) erano condotti intorno agli antichi confini
di Roma per la cerimonia della
lustratio
, la purificazione annuale dei campi, che doveva tene-
re lontani gli spiriti malvagi.
Ne è una chiara filiazione il rito delle rogazioni (da
rogo
, «chiedo»), praticato dalla liturgia cat-
tolica e consistente in pubbliche processioni atte a propiziare il raccolto, invocare la pioggia ecc.
La necessità di un esatto adempimento dei doveri religiosi favoriva la
disciplina
e l’
obbedien-
za
, offrendo una superiore sanzione alle leggi e ai molteplici aspetti della
virtus
romana, dal pa-
triottismo al senso del dovere al lealismo in campo politico.
Cicerone, che pure era scettico in materia religiosa, non esitò a fare propria la strumentalizza-
zione del sacro per fini di controllo politico (
De legibus
II 15):
Siano dunque n da principio persuasi di questo i cittadini, che gli dèi sono signori
e moderatori di tutte le cose, e che tutto ciò che avviene si compie per loro forza,
consenso e volontà. Essi sono i benemeriti dell’umanità e sanno di ciascuno di noi
chi sia, che cosa faccia, che cosa creda, con quale animo e sentimento adempia ai suoi
doveri religiosi. Essi tengono il conto dei pii e degli empi.
Le menti dei cittadini imbevute di questi princìpi sarà dicile che si scostino da utili e
veri sentimenti.
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La religiosità privata
È ragionevole pensare che le pratiche del culto pubblico fossero troppo esteriori per soddisfa-
re il bisogno di religiosità dell’uomo romano. È nota, per esempio, la religiosità di Scipione
Africano, che sul far dell’alba era solito recarsi in Campidoglio, farsi aprire la cella del tempio
di Giove e rimanervi a lungo da solo «come se consultasse Giove sugli affari di stato» (Gellio,
Noctes Atticae
VI 1, 6).
Una forma intermedia tra pubblico e privato era la
religione domestica
, che oltre al culto del
Genius
personale – una sorta di angelo custode – prevedeva che si celebrassero dentro casa i ri-
ti in onore dei
Lari
protettori della casa, dei
Penati
protettori della famiglia e del focolare do-
mestico, e in generale dei
Mani
, che erano le anime dei trapassati.
Rientrano nell’alveo della religiosità personale le professioni di fede da parte di uomini che ri-
cavavano il senso del divino dalla stupita contemplazione dell’universo. È il caso dello stesso
Cicerone
che, per quanto diviso tra l’agnosticismo tipico degli intellettuali romani e l’interesse
per la religione in quanto strumento di governo, in qualche momento sembra concepire una
religiosità naturale e intuitiva (
De natura deorum
II 97):
Chi mai potrebbe chiamare uomo questo che, vedendo i movimenti così regolari del
cielo, l’ordine così sso degli astri e tutte le cose celesti così legate e connesse tra loro,
non ammette che in tutto ciò vi sia ragione e asserisce che avvengano per caso quei
fenomeni che in nessun modo possiamo capire da quali piani siano regolati?
[…]
Perfino l’epicureo
Lucrezio
giungeva ad ammirare con stupore l’ordine del cosmo (
De rerum
natura
V 1204-1210), ma mentre lo stoico Cicerone attribuisce quest’ordine alla provvidenza
divina, l’emozione cosmica dell’epicureo Lucrezio è assolutamente laica e razionalistica.
La religione come
controllo sociale
La religiosità
personale
e familiare
La religiosità
naturale
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