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Il
pantheon
romano
La diffusione del cristianesimo nel mondo romano fu rapida e travolgente. Tra i molteplici fat-
tori che la determinarono figurano senz’altro una certa
tolleranza
che i romani avevano sem-
pre avuto verso gli altri culti e una forte
debolezza
della religione pagana. Ma in che cosa con-
sisteva, di fatto, questo politeismo che ci è giunto tramite i racconti della mitologia e innume-
revoli raffigurazioni artistiche antiche e moderne?
Siamo abituati a pensare la religione greco-romana nei termini di un politeismo grossolano, po-
polato da «dèi falsi e bugiardi». E ci stupisce che culture così progredite in campo filosofico po-
tessero credere in una molteplicità di dèi e praticare un culto fatto soprattutto di atti esteriori.
Ma gli antichi non erano così ingenui: già nel VI secolo a.C. il filosofo greco Senofane aveva
osservato che, se i buoi e i cavalli avessero mani per dipingere, raffigurerebbero i loro dèi simili
rispettivamente a buoi e a cavalli. Il che equivale a dire che gli dèi del politeismo altro non era-
no che particolari forme di
oggettivazione del divino
. La divinità era riconosciuta nelle diver-
se configurazioni del suo manifestarsi, nelle cosiddette ‘epifanie’, e concepita con tratti diversi
a seconda delle occasioni. In altre parole, del divino gli antichi
coglievano l’evento e non la
forma
, l’apparire e non l’essere.
La formazione della teologia dei romani può essere scandita in tre tempi, nei quali si passa dal-
la percezione di
‘divinità del momento’
, che intervenivano nell’
hic et nunc
a spiegare un feno-
meno di cui sfuggiva la motivazione, a
divinità quotidiane
, che sovrintendevano alle azioni di
ogni giorno, per giungere solo alla fine di questo processo alla concezione di
divinità personali
.
La ‘volontà divina’ che si esprimeva in un’azione o in una funzione (dal miracolo della sorgen-
te alla sacralità del bosco, dal cambio della stagione al confine del campo ecc.) era detta
nu-
men
(dalla radice di
nuo
, «accenno con la testa» per esprimere volontà e comando): nei suoi
confronti l’uomo era impotente e poteva solo sperare di propiziarsela attraverso la preghiera.
Forme particolari di
numina
sovrintendevano alle attività lavorative quotidiane e ai relativi am-
biti connessi, primo fra tutti quello dell’agricoltura.
Da questo substrato primitivo vennero emergendo a poco a poco le divinità dei grandi feno-
meni naturali (da
Giove
dio del cielo a
Vulcano
dio del fuoco a
Nettuno
dio delle acque ecc.),
gli dèi della natura e dell’agricoltura (
Marte
,
Saturno
), i protettori della casa e della famiglia,
dei mestieri e delle professioni, dell’Oltretomba ecc.
Mentre la Grecia aveva prodotto un materiale mitologico vivace e fantasioso, i romani si limi-
tarono a coltivare un complesso di pratiche rituali che prescindevano dal supporto del mito.
La loro religione non concepì né cosmologie né genealogie divine, anche se non era priva di
un repertorio di leggende che calavano il mito dal cielo sulla terra, o, meglio, innalzavano al
rango di dèi i
grandi uomini della Roma delle origini
: è il caso del fondatore Romolo, che
fu assimilato al dio Quirino.
Nel definire le divinità e le loro prerogative, la religione romana ricorse largamente al cosid-
detto
sincretismo
, cioè alla sintesi di aspetti delle varie religioni che erano state praticate sia da
popolazioni italiche quali latini, sabini, etruschi, sia da immigrati greci, giudei, egizi e orien-
tali in senso lato.
Il politeismo antico
Alle origini
del sacro
Una religione
senza miti
TEMA
Dalla religione pagana
alla religione cristiana
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