permettono ad alcuni caratteri latenti, o scarsamente
espressi, di emergere al massimo della loro poten-
zialità.
Esperimenti di laboratorio effettuati con la
Drosophila melanogaster
, il moscerino della frutta
utilizzato dai genetisti, permisero di ottenere una
prima stima della variabilità genetica. Questo in-
setto presenta sul corpo delle setole il cui numero
può essere variabile. Partendo da un ceppo con un
numero medio di 36 setole, gli sperimentatori ri-
uscirono, con incroci selezionati, a ottenere in al-
cune generazioni ceppi con 56 setole e ceppi con
24 setole: una variazione enorme, non prodotta da
mutazioni. Esperimenti successivi hanno riscon-
trato analoghe variazioni per altri fenotipi e in al-
tri organismi.
Un’ulteriore stima della variabilità si è ottenuta, a
partire dagli anni ’60 del secolo scorso, con l’
elettro-
foresi
, una tecnica che separa proteine anche molto
simili tra loro in base al comportamento in un cam-
po elettrico. John L. Hubby e Richard C. Lewontin
analizzarono 18 enzimi diversi estratti da esemplari
di una popolazione naturale di
Drosophila
. Per metà
di questi enzimi, essi riscontrarono la presenza di
due o più forme strutturali diverse (con sequenze
di amminoacidi differenti); poiché ogni enzima è
codificato da un singolo gene, conclusero che nel-
la popolazione erano presenti, per la metà dei geni
considerati, due o più alleli diversi (
4
).
Negli ultimi anni, infine, l’analisi del DNA ha
permesso di rilevare una variabilità ancora mag-
giore (questo perché non tutte le modificazioni del
DNA danno luogo a cambiamenti delle sequenze
di amminoacidi nelle proteine). Nelle popolazioni
di
Drosophila
la metà dei geni esiste in due forme,
dominante e recessiva, e ogni individuo è eterozi-
gote per circa il 15% dei suoi geni. Studi analoghi
sugli esseri umani hanno portato alle medesime
conclusioni: il
grado di eterozigosi
di norma è alto
e gli alleli recessivi si conservano nella popolazio-
ne senza “mostrarsi” nel fenotipo degli individui.
Questa “variabilità nascosta” è un vantaggio per la
popolazione: una riserva di potenziali variazioni
che la rende più adattabile ai cambiamenti am-
bientali. Le popolazioni che hanno un basso gra-
do di eterozigosi e di variabilità, di norma dovuto
all’esiguo numero di individui e all’accoppiamento
tra consanguinei, non solo evidenziano una fre-
quenza più elevata di difetti genetici nella prole
(dovuta all’emergere di caratteri sfavorevoli negli
omozigoti recessivi), ma sono molto vulnerabili in
caso di cambiamenti ambientali. Un esempio di ciò
sono i ghepardi citati nell’introduzione.
Queste considerazioni rappresentano una evi-
dente condanna scientifica delle teorie sulla “razza
pura” che ancora oggi a volte emergono nella so-
cietà. Quanto più una razza è “pura”, tanto più è
composta da individui geneticamente affini: dispo-
ne quindi di un basso tasso di variabilità ed è gene-
ticamente “debole”.
3
La genetica di
popolazione e il
concetto di pool genico
Nei primi anni del ‘900 alcuni studiosi che si in-
teressavano sia di genetica sia di evoluzione, come
John B. S. Haldane e T. Dobzhansky, cominciarono
a studiare, oltre all’assetto genetico dei singoli in-
dividui, anche quello delle popolazioni (ricordiamo
che per popolazione si intende un gruppo di indivi-
dui della stessa specie che vivono nello stesso spazio
e nello stesso tempo e si riproducono tra loro).
Nacque così la
genetica delle popolazioni
(o
di
popolazione
), una disciplina “a cavallo” tra genetica
ed evoluzionismo e che studia il
pool
genico
delle
popolazioni, ossia
l ’insieme di tutti i geni (e relativi
alleli) presenti in tutti gli individui di una popolazione
in un determinato intervallo di tempo
. Gli studiosi di
questa disciplina non si interessano del patrimonio
genetico dei singoli individui, ma della composizio-
ne genetica dell’intera popolazione, dei cambiamenti
che in essa possono verificarsi e delle loro cause.
3.1
La legge di Hardy-Weinberg:
una condizione di equilibrio
La genetica delle popolazioni si basa su un prin-
cipio esposto nel 1908 dal matematico inglese G.
Godfrey H. Hardy e dal medico tedesco Wilhelm
Weinberg, indipendentemente l’uno dall’altro, e
noto come
legge
(o
equilibrio
)
di Hardy-Wein-
berg
. Cercavano una risposta al quesito espresso
2
Quali sono le prove dell’esistenza della variabi-
lità genetica nelle popolazioni?
3
E come viene quantificata?
Facciamo il punto
Figura 4
La separazione
tramite la tecnica di
elettroforesi su gel
di uno degli enzimi
analizzati da Hubby
e Lewontin indica la
presenza di sei diverse
forme strutturali per
questo enzima.
Elettroforesi su gel
www.apprendiscienza.it
Principi di genetica delle
popolazioni
Elements of
population
genetics
anche su DVD-ROM
305-335_sn_v1_B3.indd 307
08/01/