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I poemi omerici
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stata registrata per iscritto: questo non significa che i poemi di Omero circolasse-
ro normalmente in forma di libro né tanto meno che siano stati composti “a tavoli-
no” da un letterato. Dovremo pensare a un sistema di registrazione scritta dei canti
omerici a uso degli stessi rapsodi o degli archivi delle città o anche di un pubblico,
molto ristretto, di famiglie aristocratiche che custodivano i libri come bene raro e
prezioso. Si è ipotizzato un Omero, aedo, che dettava i suoi canti a uno scriba, op-
pure un signore aristocratico, ammiratore di Omero, che fece mettere per iscritto a
proprie spese i suoi poemi, ma sono semplici ipotesi. È probabile che copie scritte di
Iliade
e
Odissea
esistessero sin da un’età relativamente arcaica; resta il fatto che esse
non potevano essere diffuse a strati ampi della popolazione (se non altro, per mo-
tivi di costi). Tuttavia, la scrittura può avere contribuito in modo decisivo non solo
a sottrarre
Iliade
e
Odissea
ai rischi di una radicale manipolazione da parte di aedi
e rapsodi, ma anche a renderle opere per così dire ufficiali, e venerabili per la loro
autorità, fissandole come punto di riferimento obbligato per future generazioni di
cantori e ascoltatori.
4 L’epos della guerra: l’
Iliade
L’
Iliade
(ovvero il «poema di Ilio», nome alternativo per la città di Troia che sorgeva
nel nord dell’Anatolia) consta di oltre 15.500 esametri, che i grammatici alessandrini
divisero in ventiquattro canti (
ŒayÕdÉai
secondo la terminologia antica), ciascuno
contrassegnato da una lettera maiuscola dell’alfabeto greco (
A–W
).
Il racconto dell’
Iliade
occupa cinquantun giorni del decimo anno della guerra di Troia.
Da nove giorni una spaventosa pestilenza sta decimando l’esercito acheo. L’indovino
Calcante ne rivela la causa davanti all’assemblea dei capi: è il dio Apollo, che intende co-
sì vendicare l’oltraggio che Agamennone, re di Micene e capo della spedizione achea, gli
ha recato rifiutandosi di restituire al suo sacerdote Crise la figlia Criseide, prigioniera di
guerra. Per far cessare il flagello, Agamennone è dunque costretto a cedere la sua schiava,
ma esige in cambio una parte equivalente del bottino di guerra di uno degli altri capi: di
Aiace, di Odisseo o meglio di Achille stesso. Quest’ultimo replica sdegnato, accusando
Agamennone di avidità; la contesa tra i due assume toni sempre più accesi finché Achille,
che sta per sfoderare la spada e farsi giustizia sommaria, cede, trattenuto dall’apparizione
di Atena: consegnerà ad Agamennone la sua schiava Briseide, ma al contempo deporrà le
armi insieme ai suoi soldati. L’eroe si reca poi sulla riva del mare e invoca la madre Teti,
raccontandole l’ingiustizia subita perché interceda presso Zeus. Il dio accoglie la richie-
sta, suscitando la gelosa irritazione di Era; Efesto riesce tuttavia a placarla, facendo ridere
lei e tutti gli altri dèi riuniti a banchetto.
(Canto I)
Il breve episodio di Tersite, che occupa la prima parte del canto ii, fornisce un interessan-
te esempio del funzionamento dell’antica democrazia tribale. Tersite, l’unico personaggio
“plebeo” di tutto il poema, partecipa all’assemblea e non esita ad attaccare apertamente
Agamennone, prima che Odisseo lo faccia tacere a suon di percosse. Il resto del canto è
occupato dal cosiddetto “catalogo delle navi”, in cui vengono passati in rassegna detta-
gliatamente i due eserciti, quello greco e quello troiano.
(Canto II)
Inizia la prima delle quattro grandi battaglie dell’
Iliade
, che occupa i canti iii-vii; i Tro-
iani sono guidati da Paride, gli Achei da Menelao, re di Sparta e fratello di Agamenno-
ne. Paride, scorgendo l’antico marito di Elena, è colto dal terrore e sta per fuggire, ma
agli aspri rimbrotti del fratello Ettore si rinfranca e propone di risolvere la guerra con un
duello tra lui stesso e Menelao. Gli Achei accettano ed Elena sale sulle mura per assiste-
re al duello insieme al vecchio re Priamo, al quale indica dall’alto i guerrieri più valorosi
(la cosiddetta
teicoskopÉa
, l’«osservazione dalle mura»). Nel successivo duello Paride
(Canti I-VIII)
L’ira di Achille