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La filologia e la “questione omerica”
la che viene comunemente indicata come “questione omerica”, in cui gli studiosi nel
corso dei secoli si sono confrontati e tuttora si confrontano allo scopo di elaborare i
metodi più efficaci per estrarre dai versi epici il maggior numero possibile di dati af-
fidabili riguardo alla loro origine. I diversi metodi elaborati sono stati messi alla prova
soprattutto sul testo dell’
Iliade
(da sempre il più studiato tra i due), nella convinzio-
ne che risolvere i dilemmi del poema di Achille comportasse un significativo passo in
avanti anche per la soluzione dei problemi interpretativi dell’
Odissea
.
Contraddizioni o palesi inverosimiglianze non erano sfuggite neppure ai critici anti-
chi: questi ultimi, ad esempio, avevano difficoltà a spiegarsi come il re dei Paflagoni
Pilemene potesse prima cadere ucciso in battaglia (
Iliade
V, v. 576) e quindi riappari-
re vivo e in lutto per il figlio morto (xiii, vv. 643-658). Possiamo aggiungere ancora
l’intero canto x dell’
Iliade
, che racconta un episodio isolato e del tutto ininfluente
sul corso della narrazione, e che nello stesso tempo dà origine a una serie di difficol-
tà esegetiche: nella notte che è oggetto dei canti ix e x e che sembra non finire mai
si tengono due consigli notturni (per di più dopo che il poeta ha mandato a dormi-
re tutti i protagonisti) e Odisseo cena per ben tre volte! Un altro caso significativo è
offerto dalla serie di verbi al duale nel canto ix dell’
Iliade
(vv. 182-198), che dovreb-
bero tuttavia riferirsi a tre personaggi in azione: Odisseo, Aiace e Fenice. E non man-
cano altrove promesse non adempiute, predizioni che non si avverano, motivi di cui
si annunciano sviluppi inesistenti o di cui non si comprende il ruolo nella narrazio-
ne. Alcuni filologi antichi, volendo salvare l’unità dei poemi e renderli intimamente
coerenti, provarono a cancellare, a correggere e a cercare spiegazioni ardite per i luo-
ghi dubbi o incongruenti. Ma i loro tentativi di epurazione non conobbero grande
successo, anche perché quello di Omero era divenuto un testo “sacro” del patrimonio
culturale greco e dunque intoccabile: tanto che possiamo affermare con buona sicu-
rezza che il testo omerico quale lo leggiamo oggi non è significativamente diverso da
quello che conoscevano in età classica Tucidide e Aristotele.
Dopo la prima fase della critica omerica (dal secolo iii a.C. al secolo ii d.C.) i poe-
mi entrarono nel cono d’ombra culturale della tarda antichità e del lungo medioevo
bizantino: Omero, considerato il vertice assoluto della poesia greca, continuò a esse-
re letto, ma i contributi critici dedicatigli furono nell’insieme modesti (segnaliamo
soltanto il ricchissimo, se pure poco originale, commentario continuo ai due poemi
approntato da Eustazio, vescovo di Tessalonica, fra i secoli xii e xiii d.C.). La “risco-
perta” del testo greco di Omero in Occidente coincise con l’età del Rinascimento e
fu trionfale, ma ci volle naturalmente del tempo per elaborare una strumentazione
critica adeguata, che consentisse a critici e filologi moderni di accostarsi ai poemi
nella prospettiva di ricostruirne le origini e le matrici culturali.
A mettere in dubbio la reale personalità di Omero fu per primo l’abate francese
François Hédelin d’Aubignac, che con le sue
Conjectures académiques ou disserta-
Cronologia
Secolo
vi
a.C.
Lettura allegorica delle divinità
omeriche: Teagene di Reggio
Secoli
iii
a.C. -
ii
d.C.
Prima fase della critica omerica:
filologia alessandrina
Secoli
xii
-
xiii
d.C.
Commentario di Eustazio
ai poemi
1664
L’abate d’Aubignac mette in
dubbio l’esistenza di Omero
1744
Giambattista Vico considera
i poemi omerici una composizione
collettiva
795
Friedrich August Wolf sostiene la
composizione e la tradizione orale
dei poemi
1830-40 ca.
Gottfried Hermann: “teoria dell’al-
largamento” a partire
da un’
Iliade
primitiva
1938
Wolfgang Schadewaldt: teoria
della composizione unitaria
Primi decenni del secolo
xx
Milman Parry fissa il concetto
di
oral composition
j
Le contraddizioni
interne ai poemi
j
La “riscoperta”
di Omero
nel Rinascimento
j
L’abate d’Aubignac
e Vico