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La poesia epica
tradizione orale, stratificata nel tempo attraverso generazioni di aedi dai quali deriva
tutto il materiale narrativo e stilistico presente nei poemi; dall’altro, mostrano i ca-
ratteri di un’elaborazione unitaria e comunque, a partire da una data relativamente
antica, furono filtrati e conservati attraverso la scrittura. In ogni caso, però, la poesia
epica rimase destinata alla recitazione da parte di un esecutore e quindi all’ascolto,
non alla lettura, all’interno di un sistema comunicativo caratteristico di quella che è
stata definita una “face to face society”, vale a dire una società di piccoli gruppi in cui
ogni forma di comunicazione passa attraverso la diretta interrelazione tra i membri
del gruppo stesso.
L’epica fu anche poesia d’intrattenimento, ma soprattutto essa obbediva a un compito
fondamentale all’interno della civiltà greca arcaica: quello di conservare e trasmettere
le forme più complesse della cultura, funzionando così (secondo la definizione di Eric
Havelock, cfr. p. 13) come una specie di “enciclopedia tribale”, oltre che come un con-
tenitore di memorie storiche. Di questa produzione non ci è pervenuta che una mi-
nima parte: esisteva infatti una miriade di composizioni epiche destinate a celebrare
le gesta di un eroe locale (e pertanto rivolte a una ristretta cerchia di ascoltatori); altre
erano di carattere regionale (relative alle vicende di città quali Corinto, o Focea, e dei
loro miti); altre ancora, di carattere panellenico, cantavano i temi e i personaggi della
mitologia collettiva (poemi sulle imprese di Eracle, l’eroe nazionale, sulle vicende degli
Argonauti, sul ciclo mitico tebano e, prima fra tutte, sulla guerra di Troia).
È da escludere che la poesia epica fosse la più antica manifestazione letteraria delle
genti di lingua greca. Il mito stesso ricorda figure di leggendari cantori come Orfeo e
Lino, esecutori di carmi elaborati con l’accompagnamento della cetra. In effetti, l’epi-
ca si affiancava, già dai primordi, ad altre forme di esecuzione poetica, con le quali co-
esisteva. L’idea (spesso ripetuta in passato) che
prima
nacque l’epica, espressione di
un sentire collettivo,
poi
si sviluppò la lirica, che accompagnò l’affermazione dell’in-
dividualità soggettiva, è quindi superata. L’epica greca si può definire come una for-
ma di poesia recitata (e non cantata) da parte di un poeta professionista, padrone di
un bagaglio espressivo tradizionale, che intrattiene un pubblico più o meno vasto sia
nei palazzi aristocratici che nelle comunità di villaggio. Il contenuto di questa poesia
è il mito, che il poeta narra in forma oggettiva, senza quindi fare pesare la propria in-
dividuale personalità all’interno del canto: da ciò deriva l’aspetto fondamentalmente
anonimo e collettivo di questo tipo di arte. La materia è elaborata attraverso il metro
tipico della recitazione, l’esametro, e un corredo tecnico-comunicativo peculiare, fatto
di formule, scene tipiche, epiteti convenzionali. Tuttavia i poemi di Esiodo (cfr. p. 186)
documentano che la poesia epica, pur esprimendosi attraverso il medesimo bagaglio
stilistico, poteva toccare non solo il passato mitico ma anche altri temi, come le gene-
alogie divine e il patrimonio di tradizioni popolari conservato dalla civiltà contadina.
Con lo sviluppo della
pÑli©
, i rapsodi trovarono un loro spazio nell’ambito delle fe-
ste cittadine, durante le quali venivano organizzate regolarmente competizioni tra
poeti con premi per i vincitori. Fu in questi ambienti che la produzione epica arcaica
venne infine incanalata: è probabile che le varie comunità cittadine procedessero alla
registrazione per iscritto di alcuni tra i canti epici più famosi dando luogo quindi alle
prime “edizioni ufficiali” dei poemi omerici e in generale della poesia epica. Non di
rado, queste edizioni cittadine erano sottoposte a una sorta di censura: era una bat-
taglia culturale che le città o i clan aristocratici conducevano per far prevalere una
versione del mito a essi favorevole (il mito è per una cultura tribale nello stesso tem-
po storia, verità e contenitore della memoria collettiva). Sappiamo, ad esempio, che
Clistene, tiranno di Sicione, impedì la recitazione nella sua città di canti che celebra-
vano gli eroi della vicina e nemica Argo. Il passaggio probabilmente decisivo per la
redazione scritta dei poemi omerici è costituito infatti dal testo che Pisistrato, tiran-
no di Atene (fine del secolo vi a.C.), fece approntare perché servisse da traccia alla
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L’epica come
“enciclopedia tribale”
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Contenuto mitico
e narrazione oggettiva
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Le prime
“edizioni ufficiali”