L’inquietante notte di Dino Campana
Gli obiettivi
Campana è autore inquietante e complesso, tra disagio mentale e creatività, e anche abbastanza sconcertante, dato che è accolto ora con entusiasmo, ora con diffidenza da interpreti che su di lui esprimono giudizi taglienti o comunque fortemente limitativi (a iniziare da Umberto Saba). L’intervento mira a proporre un ritratto di Campana equanime e distaccato.
Si parlerà di:
- Biografia e poesia. Il poeta manifesta a 12 anni i primi disturbi nervosi e al 1906, quando ha 21 anni, risale il primo ricovero in manicomio, a Imola, dove resta recluso due mesi e da cui è fatto uscire, contro il parere dei medici, per insistenza del padre, che si assume la responsabilità delle azioni del figlio. Il tema del rapporto tra biografia e arte, tra poesia e follia, è questione spinosa, che molti interpreti tendono a eludere, ma che invece è imprescindibile.
- Magistero civile. Va precisato, in via preliminare, per meglio intendere il tono espressivo di Campana, la sua alta stima di sé come poeta vate, a cui era autorevolmente assegnato un ruolo di magistero sociale, civile, politico. Perciò si situa in un contesto ben lontano dalla «perdita di aureola» di Baudelaire.
- Sdoppiamento sintomatico. I testi del poeta rilasciano le prove di uno sdoppiamento sintomatico: l’io che scrive si sdoppia da sé e con stupefatta inquietudine si osserva nel momento stesso nel quale agisce, e con sgomento (direbbe Pirandello) si guarda vivere.
- Aspirazione unitaria e disgregazione. La stima di sé, l’alta eloquenza, la stessa autoinvestitura in un ruolo di poeta vate, comportano l’aspirazione a un’armonica unità, tra l’io e l’ambiente, tra la sfera umana e il cosmo. Tuttavia questa tensione unitaria, avvertita come forma di saldezza e di coesione, di equilibrio e di euritmia, è sconvolta dalla percezione di un forte disagio interiore, che agisce come una forza disgregante.
- L’iterazione. Se si presta attenzione ai modi della scrittura, è facile notare che uno degli aspetti più caratteristici dei Canti orfici è la figura retorica dell’iterazione. Tale ‘coazione a ripetere’ è una scelta espressiva che ha una specifica funzione conoscitiva. Certamente risponde a varie motivazioni, ma una è centrale: risponde alla volontà di frenare la disgregazione prodotta dall’urto devastante tra l’autostima del poeta classicista e la percezione della forza che dentro lo corrode con urto distruttivo.
- Il fascino dei Canti orfici. Il fascino dei Canti orfici sta nel fatto che trasmettono al lettore la tensione dell’io che si sporge sull’orlo dell’abisso, in lotta con l’invasione delle ombre che preludono alla notte. Il risultato è una lirica in tensione perenne, che non lascia dormire sonni tranquilli, con rari spiragli di quiete e di vivida luce, e tanti momenti di ansietà combattiva, pugnace, come si addice a un tormentato poeta della notte.
Relatore
Gino Tellini, professore emerito di Letteratura italiana dell’Università di Firenze, ha fondato il Dottorato internazionale di ricerca in Italianistica e il Centro di Studi «Aldo Palazzeschi» dell’Università di Firenze. Insegna dal 1994 alla Italian School del Middlebury College (Usa, Vermont e California). Ha tenuto corsi per vari anni all’Università di Bonn. Si è dedicato a ricerche sulla civiltà letteraria dal Trecento al Novecento. Per Le Monnier Università/Mondadori Education ha pubblicato: Metodi e protagonisti della critica letteraria (2010, 2019); Letteratura italiana. Un metodo di studio (2011, 2014); Natura e arte nella letteratura italiana. Tra giardini, orti e frutteti (2015); Storia del romanzo italiano (2017); con Gino Ruozzi, ha curato il volume Didattica della letteratura italiana (2020).
Moderatore
Matteo Tasca, Redazione Umanistica Secondaria di secondo grado Mondadori Education
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