Verga, Svevo e le sgrammaticature che cambiano la lingua

Gli obiettivi


Fra i grandi scrittori del Novecento, il triestino Italo Svevo è forse quello che più di tutti ha visto minacciata la propria reputazione letteraria da scetticismi o dissensi riguardanti la lingua. Una cosa del genere era già capitata a un grandissimo autore della generazione precedente, il catanese Giovanni Verga. Evidentemente una visione ‘grammaticocentrica’ non permette una corretta valutazione estetica della scrittura letteraria, anzi può portare fuori strada.

Si parlerà di:

  • Errori che cambiano nel tempo. Come accade per tutte le cose, anche gli errori linguistici non sono più quelli di una volta. Nel passato i problemi nascevano dalla distanza tra lingua parlata e lingua scritta, mentre oggi si corre il rischio opposto, cioè di appiattire troppo lo scritto sul parlato. 

  • La rivoluzione linguistica di Verga. Giovanni Verga ha realizzato un’originale fusione della lingua italiana con una forma trasfigurata e sublimata del dialetto siciliano: un’impresa rivoluzionaria, che nell’immediato non fu compresa e apprezzata da tutti i contemporanei.

  • Il pericolo di non scrivere correttamente in italiano. Il rimprovero di «non sapere l’italiano» era la prima e maggiore ossessione di Svevo. Nel Paese del culto della forma, una critica del genere era in grado di nuocere alla fruizione obiettiva di qualsiasi opera letteraria, anche la più meritevole. 



Relatore


Pietro Trifone insegna Storia della lingua italiana nell’Università di Roma «Tor Vergata». Accademico della Crusca, si è occupato della dialettica tra norma e uso, per esempio in Pocoinchiostro. Storia dell’italiano comune (Il Mulino, 2017). Con Luca Serianni ha curato una Storia della lingua italiana in 3 volumi (Einaudi, 1993-1994). È presidente dell’ASLI (Associazione per la Storia della Lingua Italiana) e condirettore delle riviste «La lingua italiana» e «Carte di viaggio». È autore (con Emiliano Picchiorri e Giuseppe Zarra) del manuale L’italiano nella storia. Lingua d’uso e di cultura (Le Monnier Università, 2023).

 

Moderatore


Matteo Tasca, Redazione Umanistica Secondaria di secondo grado Mondadori Education

 

Dal nostro Catalogo

L'ITALIANO NELLA STORIA

di Pietro Trifone, Emiliano Picchiorri, Giuseppe Zarra


Se nell’età di Dante si avvia l’affermazione di una varietà di prestigio fondata sul toscano letterario, e nel Rinascimento si realizza il consolidamento di quel modello con la sua sistemazione normativa, solo dopo l’Unità si pongono le basi per l’estensione dell’italiano dall’uso scritto di una minoranza colta all’uso scritto e parlato dell’intera comunità nazionale. Lo schema «toscano antico → italiano scritto → italiano scritto e parlato» va naturalmente interpretato alla luce delle dinamiche presenti nelle diverse aree linguistiche, nei diversi gruppi sociali, ambienti culturali e contesti comunicativi. In un processo così articolato, straordinarie imprese individuali come la Commedia dantesca o i Promessi Sposi manzoniani e grandi eventi storici come la diffusione della stampa o l’unificazione nazionale hanno accelerato e orientato il cambiamento linguistico, che oggi passa anche attraverso Internet e le scritture digitate. I principali fattori macrostorici costituiscono i centri di gravità o i punti di sintesi delle varie microstorie regionali e sociali.
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