La Storia di Elsa Morante e la sua attualità
Gli obiettivi
La Storia (1974) è il terzo e penultimo romanzo di Elsa Morante (1912-1985) ed è uno dei maggiori del Novecento italiano. Scrittrice finora mai associata agli universi narrativi migratori postcoloniali, globalizzati e translingue, Morante ne è in realtà una precursora. La sua intera scrittura romanzesca trae infatti ispirazione dalle migrazioni interne all’Italia e dalle loro storie di sradicamento e di nuova appartenenza. In particolare nella Storia, esse sono raccontate come un nucleo decisivo dell’epos nazionale e come dimensione del trauma e dell’immaginario translingue italiano. Come già aveva fatto Manzoni con i Promessi sposi, più di un secolo prima, Morante mette al centro di questo epos due subalterni: Ida e Useppe, una madre e il suo bambino. Le «tracce» (Manzoni) lasciate sulla Terra da questi due umili sono però recuperate da una filosofia traumatica della Storia dai tratti molto estremi, aperti e problematici. Lo scopo di Morante è quello di fondare la verità storica della seconda guerra mondiale sul pathos di una intensa narrazione emotiva e sulla sua potente energia antiretorica. Un progetto che, come sappiamo, ha dato «scandalo» (parola-chiave del romanzo), suscitando resistenze e reazioni estreme nel dibattito letterario italiano.
Si parlerà di:
- Migrazione. Al centro del plot spicca la vicenda della maestra elementare Ida Ramundo, trasferita da Cosenza a Roma, e di Useppe, il suo secondo figlio. La loro storia si allaccia nella trama ad alcuni grandi «ethnoscapes» (Appadurai) o scenari di esseri umani sradicati dalla seconda guerra mondiale. Questo epos di una moltitudine umana brulicante è incorniciato da due storie di migrazione e di marginalità. Nel primo capitolo, si dipana la storia genealogica dei genitori di Ida, il calabrese Giuseppe Mancuso e l’ebrea padovana Nora Almagià, con un intreccio tra lo sradicamento migratorio di entrambi e il terrore razziale di lei. Nell’ultimo capitolo, acquista un significato particolare la storia di Pietro Scimò, un bambino scappato dal riformatorio, anche lui di origini calabresi. Avviando il plot con la saga dei genitori di Ida e portandolo verso la conclusione con la figura solo apparentemente secondaria di Scimò, Morante ha creato un processo circolare di apertura e chiusura della narrazione e del suo pathos antitotalitario. Un pathos dei margini sradicati, meridionali e razzializzati d’Italia, della sua fondazione moderna, e della propria stessa genealogia matrilineare ebraica perseguitata.
- Microstoria. Sin dalla forma integrale del titolo (La Storia. Romanzo), il romanzo valorizza il contrappunto tra la Grande Storia e la microstoria narrativa, tra il documento e l’invenzione, esponendo i due poli ad una pressante e creativa tensione. Questo campo di tensione è estraneo sia al recupero delle gnoseologie ottocentesche sia all’aggancio delle nuove tendenze postmoderne. Per un verso, infatti, la struttura del romanzo decostruisce in modo radicale le forme verticali, razionalizzanti e difensive delle teleologie storiche tradizionali. Il romanzo non può quindi essere letto come una restaurazione del sentimento del tempo ottocentesco. Per l’altro, questi apparati storici verticali sono destrutturati da una micronarrazione trasversale e storico-emozionale del trauma, che non concede nulla al relativismo e all’ironia delle scritture postmoderne coeve al romanzo.
- Realismo traumatico. Lo scenario di realtà costruito da Morante in questo romanzo è anche uno spazio archetipico del trauma, che collega tra loro epoche diverse. È stato giustamente sottolineato (Garboli) che La Storia è paradossalmente carica di ilarità, e introduce un registro comico anche in quelle porzioni del testo declinanti verso il tragico. Questa apertura al multiforme della vita è il realismo, che ha però nella Storia – e poi a seguire anche in Aracoeli – una sua qualificazione e un suo rilancio specificamente moderni e novecenteschi: è un «realismo traumatico», «un nuovo modo di vedere e ascoltare dal punto di vista del trauma» (Caruth), una capacità di rappresentare uno spazio di violenza come «zona di confine tra l’estremo e il quotidiano» (Rothberg).
Relatrice
Tiziana de Rogatis (Napoli) insegna Letterature comparate all’Università per Stranieri di Siena. Ha scritto su Montale, la poesia europea e il modernismo. È l’autrice di Elena Ferrante. Parole chiave (e/o, Roma, 2018). Attualmente si occupa del rapporto tra trauma, migrazione e translinguismo in scrittrici italiane, francofone e anglofone.
Moderatore
Matteo Tasca, Redazione Umanistica Secondaria di secondo grado Mondadori Education