Una voce di donna dall’Egitto medievale: Safrā scrive a Khiḍr

A cura di Lorenzo Tabarrini

La singolare storia dei documenti in arabo dall’Egitto medievale

Presentiamo qui di seguito ampi stralci di una lettera, scritta su carta, che appartiene alla collezione di documenti in lingua araba conservati a Vienna, presso la Biblioteca Nazionale Austriaca.

Non sappiamo con certezza a quando risalga, anche se gli studiosi che se ne sono occupati hanno suggerito di datarla al XII secolo. Fu dettata a uno scriba da una donna di nome Safrā, dalla città del Cairo oppure dalla località di al-Bahnasā, sul medio corso del Nilo, più nota come Oxyrinchos (Ossirinco in italiano), il suo antico nome del periodo ellenista.

La storia dei documenti in arabo provenienti dall’Egitto medievale è curiosa. Hanno ricevuto meno attenzione rispetto ai testi in egiziano antico o in greco, che oggi hanno alle spalle una lunga tradizione di edizioni e di studi. Sono stati ritrovati in modo per lo più casuale, spesso all’interno di cumuli di spazzatura, da persone alla ricerca di sostanze fertilizzanti da vendere ai contadini; se ne ignora, spesso, la provenienza esatta (è il caso della nostra lettera) perché sono stati venduti ai collezionisti nei mercati del Cairo, dove erano stati trasportati dopo un lungo tragitto attraverso il deserto. La serie di papiri e carte di Vienna, la più vasta al mondo, è ancora largamente inesplorata.

 

Frammenti di una vita coniugale infelice

In questa lettera Safrā si rivolge a suo marito, Khiḍr. Gli rimprovera la relazione extraconiugale con una giovane ragazza, gli inganni, i raggiri e la mancanza di onestà che impedisce a Khiḍr di chiedere il divorzio, come sarebbe giusto. La situazione sembra aggravarsi quando Safrā scopre di essere incinta. Ma è una donna di buona condizione economica e non si dà per vinta: si rivolge a un giudice e avvia un’azione legale contro il marito traditore.

Questa lettera, come la maggior parte delle lettere arabe medievali (ma un discorso simile si potrebbe fare anche per l’ebraico e il latino), contiene alcune espressioni formulari, cioè alcune frasi ricorrenti che gli scrittori professionisti utilizzavano per adeguare il contenuto della missiva ai precetti religiosi, alle norme vigenti e alla cultura letteraria dell’epoca: l’invocazione a Dio, per esempio, ma anche la manifestazione di sconforto di Safrā («credevo che tu provenissi da una famiglia per bene…») sono tipiche e ricorrenti. Allo stesso tempo, però, le parole dettate dalla donna si discostano da questi modelli e il risultato è un testo di grande originalità e profondità emotiva.

La lettera di Safrā, inoltre, contiene molti elementi interessanti per lo studio del diritto, della società e dell’economia dell’Egitto nel pieno Medioevo. Safrā è ricca e autonoma: ha una casa in campagna dove ritirarsi per cercare di dimenticare i tradimenti di Khiḍr, ha una dote che ha concesso al marito sotto forma di prestito (e che potrebbe revocare), ha accesso ai servizi offerti da scribi e tribunali. Khiḍr è, molto probabilmente, un mercante: la missiva deve essergli consegnata al mercato coperto di al-Bahnasā e una seconda lettera, più breve, inviatagli da Safrā alcuni mesi dopo la prima rivela che Khiḍr doveva recarsi piuttosto spesso a Shām (la regione storica corrispondente alle attuali Siria, Israele e Palestina, con cui l’Egitto aveva solidi legami commerciali) e che aveva fatto sparire le bilance d’ottone (usate, evidentemente, per pesare le merci).

Le notizie che riceviamo da epoche remote riportano alla luce solo brevi momenti di vite passate. Non conosciamo, infatti, la conclusione della vicenda. Nella seconda lettera (che qui non riportiamo) Safrā, ormai giunta a uno stadio avanzato della gravidanza, minaccia di mandare Khiḍr sotto processo e allude a una ritorsione (non sappiamo di quale natura e perpetrata da chi) di cui la sua amante sarebbe già stata vittima.

 

Il documento

Nel nome di Dio, il misericordioso e benevolo! Questa lettera, da Safrā, va a sua eccellenza Khiḍr.

Ciò che vorrei dirti è che credevo che tu provenissi da una famiglia per bene e che credevo nella bontà umana. Ma adesso… tu sai già che mi trovavo in circostanze favorevoli; non ero in uno stato di bisogno, e non ero una serva. Tu sai qual era la mia situazione e non c’è bisogno che ti dica in quale situazione, per parte tua, ti trovassi tu. Ma Dio concede e dispensa, e persino le figlie del re devono sopportare i rovesci della sorte. Possa Dio propiziare un buon esito!

Ciò che si dice di te significa che non ti ho mai conosciuto. Tra me e te non c’è anzi nessun affetto, sebbene non ci sia nemmeno inimicizia tra me e voi due: puoi rassicurarla che entrambi avete messo perfettamente in atto il vostro piano nei miei confronti. Sono venuta a sapere, infatti, che hai portato tutto in segreto dalla tua bella ragazza e che le hai detto: «Per Dio, lei non mi piace per nulla»; sì, le hai persino detto cose che Dio aveva reso segrete, che riguardano solo noi. Sono queste le nobili qualità delle persone di buona famiglia, di condotta onorevole? […] Soffro terribilmente per le cose che mi sono state dette di te. Se non fossi una buona musulmana, leverei il volto e ti maledirei giorno e notte, in segreto e in pubblico; non c’è nessuna scusa per queste spiacevoli, cattive notizie.

Dio ha reso possibile sia il matrimonio, sia il divorzio. Quindi, quando qualcuno è odiato dal proprio coniuge, non si comporta come te.[1] Ma, se pure ammettiamo che qualcuno lo abbia fatto, rifletti allora su questo: non c’è nessuno che sia stato infedele al proprio coniuge che abbia parlato come hai parlato tu. Non ho fatto nulla per meritarmi tutto questo, ti ho onorato nonostante tu avessi tutti i tuoi giri. Ho avuto tanta pazienza con te per via di tua madre, una donna di riguardo; a Dio, il potente e sublime, lei piace. Ma tu non mi hai onorato e – a giudicare da quello che sento – non hai onorato te stesso. […]

Spesso me ne sono andata in campagna in cerca di tranquillità. Mi sono detta: «Fa’ che io sia soddisfatta di ciò che Dio, il potente e sublime, ha dato» e mi sono allontanata da tutte queste cose. Ti ho lasciato la maggior parte della mia dote sotto forma di prestito, senza mai chiedertelo indietro. Sono stata sposata con te per tre anni, senza pretendere vestiti, sostentamento e soldi per l’affitto, e senza infastidirti. Alla fine, tu mi hai detto «Non la voglio, mi reca vergogna. Rinuncio a lei per te». Alla fine, mi hai convinto e mi hai detto «Vieni, trasferisciti al Cairo!». Così sono venuta al Cairo, dal momento che mi assillavi, dopodiché hai cominciato ad andartene nelle locande ogni volta che ne avevi voglia e mi sembravi un fantasma. Comparivi con le ultime preghiere della sera e te ne andavi all’alba, cosicché la gente cominciò a sospettare che tu non fossi mio marito. E nonostante tutto ti aspettavo pazientemente e avevo le mani piene di filo.[2] […]

Sono incinta, anche se voi due ridevate e dicevate «Non è affatto incinta», mentre giocavi perfidamente con me e di me ridevi. Ma stai attento: ho sporto denuncia di fronte al Gran Qadi,[3] che sarà la prima persona che si rivolgerà contro di te, e lui ti ha mandato un avviso. Così, in nome di Dio, non rinuncerò ai miei diritti solo per offrirli alla mia avversaria, la tua ragazza!

In conclusione, saluti a tua madre! Gli uomini sono diventati malvagi! Dio solo deve essere lodato; egli benedice il nostro signore Maometto, la sua famiglia, i suoi compagni; e doni loro salvezza!

Questa lettera deve essere consegnata dalla mano di un cammelliere a Khiḍr, che vive a Qiman,[4] e data a lui in persona nel mercato coperto come una proprietà affidata a terzi.

Fonte: trad. a cura di Lorenzo Tabarrini, dalla versione in inglese contenuta in Chris Wickham, The Donkey and the Boat: Reinterpreting the Mediterranean Economy, 950-1180, Oxford University Press, Oxford 2023, pp. 78-79.

[1] Safrā dunque rimprovera al marito di non divorziare, quando invece potrebbe farlo.

[2] Intende dire che tesseva.

[3] Il magistrato che si occupava della giustizia.

[4] Località vicino ad al-Bahnasā.

 

Per approfondire

Il testo originale della lettera di Safrā può essere consultato sul sito dell’Arabic Papyrology Database – che non contiene solo papiri, come il nome potrebbe far credere, ma anche pergamene e carte – precisamente qui.

Un’altra traduzione in italiano delle lettere di Safrā si trova in Chris Wickham, L’asino e il battello. Ripensare l’economia del Mediterraneo medievale, 950-1180, trad. a cura di Dario Internullo, Viella, Roma 2024, pp. 125-127, di cui abbiamo parlato qui.

Per informazioni sulla collezione di Vienna e la sua storia, si può cominciare dal sito della Biblioteca Nazionale Austriaca (in tedesco e in inglese); una selezione dei papiri è esposta al Museo dei papiri, sempre a Vienna; in italiano è disponibile un video curato nel 2022 da Maria Teresa De Vito (in collaborazione con la Direzione generale Biblioteche e diritto d’autore del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, ora Ministero della cultura), dove Bernhard Palme, direttore del Museo e del Dipartimento dei papiri, illustra la collezione.

Sui documenti provenienti dall’Egitto medievale, in particolare dalla Geniza del Cairo (espressione con cui si indica lo straordinario deposito di documenti della sinagoga di Ben-Ezra, nell’area di Cairo Vecchia) si veda, tra gli altri, l’antologia in Mark R. Cohen, The Voice of the Poor in the Middle Ages. An Anthology of Documents from the Cairo Geniza, Princeton University Press, Princeton 2005.

Segnaliamo infine il libro di Amitav Ghosh, Lo schiavo del manoscritto (1992, trad. it. di Anna Nadotti, 1993, l’edizione più recente Neri Pozza, Vicenza 2009), diario di una ricerca in storia e antropologia partita da frammenti di una lettera del XII secolo ritrovata nella Geniza, in cui le domande scaturiscono da un continuo confronto tra vite del passato e del presente.