Un canone serve
di Franco Bertini
«Indicazioni», non più «programmi»
Data la recente pubblicazione di nuove indicazioni nazionali per l’insegnamento della storia, in qualità di insegnante e autore di testi scolastici prendo volentieri parte al dibattito pubblico che l’annuncio ha innescato su metodi e obiettivi della storia a scuola.
Le indicazioni nazionali attualmente in vigore per il curricolo di storia sono un lungo elenco di suggerimenti, che però non rimandano a una vaga «storia universale». Lo si vede anche da come sono tradotte nei manuali, dove, in coerenza con gli «obiettivi specifici di apprendimento» (OSA) introdotti nel 2010 (il ministero allora retto da Mariastella Gelmini), si sviluppa in realtà una storia prevalentemente italo- ed eurocentrica. È una scelta sensata, perché è impossibile una storia mondiale nella già difficile sintesi manualistica e nel percorso da svolgere in poche ore settimanali. Inoltre la centralità dell’Europa nella storia del mondo è, almeno fino al XX secolo, indiscutibile nel bene e nel male. Il problema semmai va posto nel quinto anno, in cui è impossibile non aprire al mondo, data la decadenza dell’eurocentrismo. Concentrando il quinto anno sullo studio del secondo Novecento, sarebbe possibile individuare percorsi di storia del mondo senza trascurare le vicende europee e italiane. Ma a fondamento di tutto ciò deve esserci la capacità di selezionare una sequenza di tematiche storiche. In altri termini, non esiste più e non deve più esistere un «programma da finire» senza «rimanere indietro» – è un punto che andrebbe chiarito nella formazione degli e delle insegnanti, e anche nei confronti di studenti, studentesse, famiglie e opinione pubblica.
Le indicazioni nazionali attualmente in vigore per il curricolo di storia sono un lungo elenco di suggerimenti, che però non rimandano a una vaga «storia universale». Lo si vede anche da come sono tradotte nei manuali, dove, in coerenza con gli «obiettivi specifici di apprendimento» (OSA) introdotti nel 2010 (il ministero allora retto da Mariastella Gelmini), si sviluppa in realtà una storia prevalentemente italo- ed eurocentrica. È una scelta sensata, perché è impossibile una storia mondiale nella già difficile sintesi manualistica e nel percorso da svolgere in poche ore settimanali. Inoltre la centralità dell’Europa nella storia del mondo è, almeno fino al XX secolo, indiscutibile nel bene e nel male. Il problema semmai va posto nel quinto anno, in cui è impossibile non aprire al mondo, data la decadenza dell’eurocentrismo. Concentrando il quinto anno sullo studio del secondo Novecento, sarebbe possibile individuare percorsi di storia del mondo senza trascurare le vicende europee e italiane. Ma a fondamento di tutto ciò deve esserci la capacità di selezionare una sequenza di tematiche storiche. In altri termini, non esiste più e non deve più esistere un «programma da finire» senza «rimanere indietro» – è un punto che andrebbe chiarito nella formazione degli e delle insegnanti, e anche nei confronti di studenti, studentesse, famiglie e opinione pubblica.
Quale Novecento?
Mi soffermo sulla questione dell’ultimo anno: la decisione di dedicare la quinta allo studio del Novecento risale al 1996. A trent’anni di distanza forse sarebbe il caso di procedere a un ripensamento.
Un’idea potrebbe essere quella di far iniziare lo studio del Novecento alla fine della Grande Guerra, seguendo cioè l’idea del «secolo breve», considerando quell’evento come spartiacque epocale. O si potrebbe addirittura iniziare il quinto anno con la Seconda Guerra Mondiale, come conclusione di un mondo eurocentrico e dalle forti tensioni nazionalistiche, avendo così tempo e spazio per concentrarsi sugli eventi epocali del secondo Novecento-inizio XXI secolo. Tutto questo naturalmente obbligherebbe a concentrare nel quadriennio precedente il percorso storico pregresso. Non è impossibile e si può fare, magari dedicando il primo biennio allo studio della storia antica e medievale e iniziando il secondo dal XV secolo.
Il secondo approccio alla questione, che non è necessariamente in contraddizione con il primo, propenderebbe per lo sviluppo di percorsi di ampia sintesi, concentrandosi su tematiche forti. Gli OSA tentano questa strada quando indicano alcuni «snodi imprescindibili». Si può discutere quali e quanti siano, ma deve essere chiaro che un qualche canone, per quanto elastico, deve servire da guida. Il problema è quello di convincersi che, comunque, nessuna sintesi può esaurire il tutto. È una questione complessa ma imprescindibile per svolgere correttamente l’operazione storica, il fare storia.
Un’idea potrebbe essere quella di far iniziare lo studio del Novecento alla fine della Grande Guerra, seguendo cioè l’idea del «secolo breve», considerando quell’evento come spartiacque epocale. O si potrebbe addirittura iniziare il quinto anno con la Seconda Guerra Mondiale, come conclusione di un mondo eurocentrico e dalle forti tensioni nazionalistiche, avendo così tempo e spazio per concentrarsi sugli eventi epocali del secondo Novecento-inizio XXI secolo. Tutto questo naturalmente obbligherebbe a concentrare nel quadriennio precedente il percorso storico pregresso. Non è impossibile e si può fare, magari dedicando il primo biennio allo studio della storia antica e medievale e iniziando il secondo dal XV secolo.
Il secondo approccio alla questione, che non è necessariamente in contraddizione con il primo, propenderebbe per lo sviluppo di percorsi di ampia sintesi, concentrandosi su tematiche forti. Gli OSA tentano questa strada quando indicano alcuni «snodi imprescindibili». Si può discutere quali e quanti siano, ma deve essere chiaro che un qualche canone, per quanto elastico, deve servire da guida. Il problema è quello di convincersi che, comunque, nessuna sintesi può esaurire il tutto. È una questione complessa ma imprescindibile per svolgere correttamente l’operazione storica, il fare storia.
Il rapporto con l’educazione civica
In parte questo approccio è già adottato nel rapporto con l’educazione civica. La storia e l’educazione civica sono in contatto forte e diretto. In questo senso l’insegnamento della storia è facilmente riconducibile alle tematiche dell’Educazione Civica. La storia consente cioè «l’emersione» (espressione esplicitamente utilizzata dalla normativa sia nel 2019 che nel 2024) di quelle tematiche dai contenuti e dalle riflessioni storiche in modo quanto mai diretto e naturale.
Competenze e conoscenze sono inscindibili
Concludo con una considerazione che fa da sfondo a quelle fatte finora, ovvero la necessità di trovare un equilibrio tra «conoscenze» e «competenze». La questione di quale peso dare a competenze e conoscenze presuppone la scindibilità dei due ambiti, ma è auspicabile che questo non accada. Indicare le competenze dello storico come faro guida e ragion d’essere del lavoro quinquennale significa utilizzare fonti e fatti in funzione di quell’obiettivo, non prescindendo mai da essi e dal loro peso. Altrimenti le competenze risultano sospese nel nulla. Al tempo stesso deve essere chiaro che l’operazione storica non consiste nella mera acquisizione di conoscenze in sequenza.
L’autore
Franco Bertini è docente di storia e filosofia con una lunga esperienza di insegnamento nei licei della provincia di La Spezia. Da molti anni è presente nel catalogo di Mondadori Education come autore di manuali di storia per il triennio delle superiori e, di recente, anche per le scuole medie.