Perfluorurati: una medaglia a due facce, tra risorsa a pericolo
di Nicole Ticchi
Materie coinvolte: Chimica
Perfluorurati: una medaglia a due facce, tra risorsa a pericolo
La chimica dei perfluorurati
I legami fluoro-carbonio sono estremamente stabili, una proprietà che conferisce a queste sostanze un'altissima stabilità termica e chimica. Un bene? Dipende dal punto di vista. Proprio perché sono molto stabili, i perfluorurati sono persistenti e alcuni tipi fra essi si accumulano più facilmente nell'ambiente rimanendo inalterati per anni.
Dal punto di vista strutturale possono essere suddivisi in diversi gruppi a seconda della complessità e del peso molecolare: l'acido perfluoroottansolfonico [PFOS] e l'acido perfluoroottanoico [PFOA], spesso indicati come sostanze di riferimento per questa classe, sono quelli più noti e più studiati dal punto di vista tossicologico.
Vengono anche definiti forever chemicals, e lungi dall’essere questa una nota romantica, è uno dei lati più preoccupanti.
Gli effetti potenzialmente tossici di queste sostanze sono sotto stretta osservazione, anche a causa della loro continua rilevazione nell'ambiente e in varie matrici: nelle acque, negli animali selvatici, nel sangue umano e in campioni di latte materno, tutti effetti che sono giunti anche all'attenzione dei cittadini e delle cittadine. Da studi recentissimi pare che, ironia della sorte, addirittura le piogge siano contaminate, segno che si tratta di sostanze ubiquitarie nella biosfera.
La tossicità e lo scenario per ridurre l’esposizione
Dato che gli effetti di queste sostanze sono noti ormai da tempo, l’Europa ha iniziato a prendere misure politiche sui gruppi più problematici come i composti PFAS (sostanze perfluoro alchiliche) già nel 2002, grazie a un gruppo di lavoro che ha permesso di esplorare e analizzare la loro presenza nei vari comparti della vita quotidiana, a partire dai cibi. Tuttavia, per diversi anni non sono stati imposti limiti precisi nei vari stati membri.
In Italia c’è una delle zone europee più interessate dall’inquinamento da parte di perfluorurati: in Veneto, infatti, a causa della elevata lavorazione industriale con queste sostanze, si è verificato un vero e proprio disastro ambientale che ha portato a un profondo inquinamento di acque e terreni, comprese le falde acquifere. Il fatto che anche la pioggia sia contaminata costituisce un problema sia in maniera diretta, per tutti quei contesti in cui rappresenta una delle poche (se non esclusiva) fonti di acqua potabile, sia indiretta, perché contribuisce ad alimentare il grado di inquinamento di terreni e corsi d’acqua, e di conseguenza piante e animali (sia selvatici che destinati all’alimentazione). Le azioni politiche possono, al momento, andare nella direzione di limitare i danni già fatti e/o prevenire quelli futuri. Nello specifico, possono regolamentare i limiti di emissione da parte degli impianti industriali ed esigere una strategia di lavorazione e pulizia interna che sia in grado di farli rispettare in maniera efficace.
Cambiare in meglio: le nuove soluzioni senza fluoro
Un altro filone importante che si sta sviluppando sempre più è quello relativo alla produzione di resine impermeabilizzanti senza fluoro.
Abbiamo visto che materiali con una bassa energia superficiale, hanno solitamente piccoli angoli di contatto, una condizione che contribuisce a renderli idrofobi. Pertanto, è possibile utilizzare anche materiali non fluorurati la cui energia superficiale è bassa per produrre una superficie superidrofobica. Anche la lavorazione del materiale influisce su questa proprietà: in forma di micro e nano particelle, infatti, il grado di idrofobicità di questi materiali aumenta.
Nell’antichità, e tuttora in alcune zone del mondo, si usava stendere strati di sostanze grasse sulle superfici da proteggere: grassi animali, oli e cere, infatti, essendo idrofobi, fungevano da impermeabilizzanti. Alcune strategie per sostituire i perfluorurati seguono oggi lo stesso principio, ricercando tipi di cere e grassi più sostenibili e utilizzabili su larga scala. Ma non è la sola possibilità.
Tra i materiali che possiedono proprietà idrofobe e che con un’opportuna lavorazione possono costituire un’ottima alternativa, troviamo:
- il polidimetilsilossano (PDMS) è un materiale ben noto che ha una bassa energia superficiale, motivo per cui la superficie piatta del PDMS è approssimativamente idrofobica con un angolo di contatto con l'acqua di circa 100°~110°. Pertanto, questo materiale può essere utilizzato per superfici superidrofobiche;
- il polietilene (PE), il polimero comunemente usato per produrre bottiglie d’acqua, ha una struttura simmetrica e nessun gruppo polare. Pertanto, il PE può essere utilizzato per fabbricare superfici superidrofobiche. Controllando finemente il suo processo di cristallizzazione si può realizzare una superficie altamente idrofobica;
- il polistirene (PS) è un polimero con anelli benzenici, altamente apolare con bassa energia superficiale, un materiale adatto a produrre superfici superidrofobiche.
La ricerca sta producendo ottimi risultati in questo campo e sono sempre di più i brand di abbigliamento e accessori che producono in maniera più sostenibile evitando di utilizzare materiali a base di fluoro.
Attività per la classe
Puoi partire da queste fonti:
- Ministero della salute
- Agenzia Europea per la sicurezza alimentare (EFSA)
- Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)
- Regione Veneto