In contrasto con Aristotele secondo il quale la schiavitù trova il suo fondamento nella natura, si deve purtroppo riconoscere che essa ha la sua origine piuttosto nelle vicende umane, che portano a riservare ad uomini nati uguali un destino diverso. Pertanto è nell’uomo che va ricercata la causa di un fenomeno che ha lasciato la sua ombra anche sul cammino delle civiltà più progredite. Nessun popolo può dirsi immune da questa macchia, perché tutti in maggiore o in minor misura hanno avuto parte nella schiavitù dall’antichità ai giorni nostri.
La nascita della schiavitù non avvenne subito perché nella fase primordiale delle attività umane ciascun individuo prestava ancora la sua opera secondo le proprie capacitá e partecipava ai frutti del lavoro comune in proporzione ai bisogni stabiliti dal capo della famiglia, del clan o della tribù. Solo successivamente, con il processo di trasformazione politica e sociale, prodotto dallo sviluppo dell’agricoltura, nacque la schiavitù e si consolidò soprattutto come fatto economico. L’uomo, dapprima nomade, si trasformò in contadino sedentario e cosí pian piano il capo del clan in ragione della sua funzione politica e sociale si imposessò di una certa parte della proprietà comune o riscosse i frutti in quantità più abbondante rispetto agli altri componenti. Formatasi quindi una libera proprietà individuale tendente all’espansione ne conseguì la necessità di trovare altre braccia sulle quali scaricare il peso dei lavori più duri e quelli domestici : la schiavitù. L’appropriazione del bene degli altri (raccolto o cacciagione che fosse) portò a piccole guerre di conquista che sfociando dapprima in saccheggi e sterminii riservarono ben presto ai vinti un diverso trattamento: la schiavitù. Solo allora si fece strada il concetto di valore-lavoro di queste risorse umane e si pensò di istituire quella classe servile nella quale confluirono gli abitanti delle terre via via assoggettate fino ad arrivare ad intere popolazioni private non solo dei loro averi, ma anche di ogni diritto umano.
Con il passare dei secoli la schiavitù divenne ormai un fatto compiuto, un elemento assolutamente necessario nella vita economica e sociale. Agli schiavi ottenuti in guerra si aggiungevano quelli per debiti o per dedizione. La loro vita, il loro lavoro e la loro distribuzione tra le varie attività, il rapporto con il padrone e con gli altri liberi avevano bisogno di un adeguata regolarizzazione. Nell’evoluzione della societá gli schiavi non ebbero mai voce in capitolo. Il gruppo sociale o "nazionale" nasceva grazie a loro, ma senza una loro effettiva partecipazione diretta, ed essi ne seguivano le sorti nella buona e nella cattiva sorte. In quest’ultimo caso non avevano da attendersi altro che un cambiamento di padroni, sperando che i nuovi fossero migliori dei primi. Una prima opera di legislatura riguardante gli schiavi si trova nelle Tavole della legge di Mosè, che aveva liberato gli Ebrei da una schiavitù in Egitto durata quattrocento anni. Nella minuziosa legislazione mosaica per la prima volta si contempla, per lo schiavo ebreo, la possibilità di essere liberato senza compenso dopo sei anni di schiavitù. Pur essendo comune anche nell’ambiente biblico la distinzione tra liberi e schiavi, nel codice di alleanza appare un senso nuovo di umanità almeno nei confronti degli schiavi ebrei: infatti nel Deuteronomio (15, 12 - 14) sono ribadite altre disposizioni, per cui si prevede che non sia restituito al padrone lo schiavo fuggitivo e che ogni Israelita, dopo aver liberato i debitori insolventi, divenuti suoi schiavi, non possa mandarli via senza averli prima caricati “onorevolmente di doni del bestiame minuto, dell’aia e del pressoio.” Fra i popoli che si affacciano sul bacino del mediterraneo la schiavitù è un fenomeno ormai acquisito che ha già una sua collocazione nell’organizzazione socio-economica ed un regolamentazione giuridica. L’aumento delle occupazioni (artigiano, pedagogo…) porta ad avere un maggior bisogno di schiavi e nasce perciò il commercio apposito, ossia la vendita come una qualsiasi merce. I Fenici saranno i primi ad occuparsi del rifornimento degli schiavi: dapprima pescatori, divennero pirati e commercianti abilissimi. Per procurarsi gli schiavi imbrogliavano gli indigeni con promesse di varia natura fino a indurli a salire sulle navi, dove venivano ubriacati. Robuste catene rendevano inutile ogni tentativo di fuga.
Presso i primitivi esistevano due tipi di schiavitù: la schiavit&uagrave; per coazione e quella per dedizione. La prima avveniva in caso di guerra o in seguito a condanna; la seconda ricorrendo alla protezione o alla tutela di un potente e mettendosi alla sua dipendenza. Alla schiavit&uagrave; in tempo di guerra si giungeva in due modi: per assoggettamento collettivo o per cattura di singoli; nel primo caso il popolo vincitore si costituiva in classe dominante e privilegiata riducendo il popolo vinto in condizione di classe non libera con diritti inferiori. Questo fatto avveniva in larga scala tra le popolazioni dell’Africa. Nel secondo caso il vincitore invece di uccidere il nemico caduto nelle sue mani gli concedeva la vita, sottoponendolo a duri obblighi. Il trattamento dei prigionieri spesso variava a seconda del regime del popolo vincitore. Se questo era nomade e dedito alla pastorizia non soleva risparmiare la vita, sia perché, dovendosi spostare continuamente, non si poteva esercitare un'adeguata vigilanza, e sia perché non sempre le provviste e le risorse erano sufficienti per gli schiavi. Se invece questo era dedito all’agricoltura, ne traeva profitto, impiegando i prigionieri nei lavori della coltivazione. Il genere di schiavitù per coazione si verificava o per uno di quei reati che prevedevano la fine della libertá dell’individuo (adulterio, stregoneria, assassinio, furto) o per quelli che prevedevano che si venisse rimessi all’arbitrio della parte lesa.
Constable G., Le origini dell’uomo, Time - Life, A.Curcio Editore
- La schiavitù, amz editrice