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George Orwell, uno scrittore contro il totalitarismo


La neolingua

«Fine della Neolingua non era soltanto quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Era sottinteso come, una volta che la Neolingua fosse stata definitivamente adottata e l’Archeolingua, per contro, dimenticata, un pensiero eretico (e cioè un pensiero in contrasto con i principi del Socing) sarebbe stato letteralmente impensabile per quanto almeno il pensiero dipende dalle parole con cui è suscettibile di essere espresso. Il suo lessico era costituito in modo tale da fornire espressione esatta e spesso assai sottile a ogni significato che un membro del Partito potesse desiderare propriamente di intendere. Ma escludeva, nel contempo, tutti gli altri possibili significati, così come la possibilità di arrivarvi con metodi indiretti. Ciò era stato ottenuto in parte mediante l’invenzione di nuove parole, ma soprattutto mediante la soppressione di parole indesiderabili, e l’eliminazione di quei significati eterodossi che potevano essere rimasti e, per quanto era possibile, dei significati in qualunque modo secondari. Daremo un unico esempio. La parola libero esisteva ancora in Neolingua, ma poteva essere usata solo in frasi come “Questo cane è libero da pulci” ovvero “Questo campo è libero da erbacce”. Ma non poteva essere usata nell’antico significato di “politicamente libero” o “intellettualmente libero” dal momento che la libertà politica e intellettuale non esisteva più, nemmeno come concetto, ed era quindi, di necessità, priva di una parola per esprimerla. Ma, a parte la soppressione di parole di carattere palesemente eretico, la riduzione del vocabolario era considerata fine a se stessa, e di nessuna parola di cui si potesse fare a meno era ulteriormente tollerata l’esistenza. La Neolingua era intesa non a estendere, ma a diminuire le possibilità del pensiero; si veniva incontro a questo fine appunto, indirettamente, col ridurre al minimo la scelta delle parole.»

La riformulazione d’autorità della lingua modifica, imprigiona, permea conformisticamente anche il pensiero stesso.
L’impossibilità di ogni espressione di vita personale fa sì che ogni più semplice e autentica esperienza umana, come scrivere un diario o avere una storia d’amore, diventi un atto sovversivo, pericoloso per il sistema, da reprimere senza pietà.


Dalla letteratura al cinema

Dal romanzo è stato tratto un film dal titolo Orwell 1984, proprio nell’anno in questione, regia di Michael Radford, con Richard Burton.

Altri film usciti tra gli anni Ottanta e Novanta in cui sono prefigurate società alienanti e oppressive sono: Brazil, del 1985, regia di Terry Gilliam, con Jonathan Pryce e Robert De Niro e Blade Runner, del 1982, regia di Ridley Scott. In quest’ultimo, ambientato nella Los Angeles del 2019, una ferrea legge condiziona uomini e androidi, i cosiddetti “replicanti”. Ha scritto un critico che «dopo Metropolis (1926) di Fritz Lang (vedi percorso Avanguardie storiche, Cinema espressionista), nessun film, forse, aveva proposto un’immagine così suggestiva e terribile del futuro come la metropoli multirazziale, modernissima e decadente» dove si svolge la vicenda del cacciatore di androidi.

1984 (1949): una società totalitaria - La riscrittura del passato