Settanta
Origine e caratteristiche generali dell'opera Nella Terra Santa la lingua d'uso nella liturgia ebraica rimase l'ebraico anche quando l'aramaico, che era penetrato in Giudea fin dall'VIII sec. a.C., finì col prendere il sopravvento nella lingua d'uso comune. Questo passaggio dall'ebraico all'aramaico si fece decisivo soprattutto dal III sec. a.C. in poi, nello stesso periodo in cui la popolazione ebraica di Alessandria d'Egitto redigeva la monumentale traduzione della Bibbia dall'ebraico al greco. Secondo il racconto tradizionale tale traduzione avvenne sotto gli auspici del re di Egitto Tolemeo Filadelfo (285-246 a.C.) e del filosofo peripatetico Demetrio Faléreo, che incaricarono settanta (o settandue) dotti di Israele di raggiungere Alessandria per redigere una traduzione dell'intero corpus biblico (svoltasi, miracolosamente, in settantadue giorni), da depositare nella Biblioteca. In realtà, fosse o meno approvata dal potere ufficiale del regno ellenistico d'Egitto, la traduzione in greco della Bibbia (detta "Settanta" dal numero dei curatori) rispondeva alle esigenze di una comunità ebraica particolarmente vivace culturalmente, ma ormai grecofona e sempre più incapace di maneggiare il testo sacro nell'originaria lingua ebraica. Ovviamente, la formazione del corpus di traduzioni della Settanta dovette avvenire in tempi e modi più lunghi e più complessi di quelli indicati nel racconto leggendario appena riportato. Il testo della Settanta comprende, in generale, i libri canonici della Bibbia ebraica, con in più altri testi non accettati nel canone giudaico fissatosi tra I e II sec. d.C., ma accolti più tardi in quello cristiano (cosiddetti libri "deuterocanonici"). Del resto, a partire dal II sec. d.C., il testo della Settanta rimase più importante per gli ambienti cristiani che non per quelli ebraici.
Lingua e stile La traduzione della Settanta, esemplata come è sul testo originale ebraico, doveva necessariamente risultare artificiosa e, talvolta, caratterizzata da veri e propri calchi sui costrutti della lingua di partenza. Oggi, comunque, si è ben lungi dal definire il greco della Settanta un greco-ebraico del tutto artificiale, dopo che ritrovamenti papiracei di documenti di età ellenistica hanno mostrato che forme un tempo giudicate peculiari della sola traduzione biblica erano in realtà d'uso comune nella parlata di tutti i giorni. Semitismi veri e propri, chiaramente, sono bene evidenti nella traslitterazione di parole giudicate intraducibili e, di fatto, conservate come tali anche nelle lingue moderne, come p.es.: gr. alleloyià, «alleluia» (= "sia lode a Dio"); gr. Sabaoth, «Sabaoth» (= "degli eserciti'; epit. di Dio); gr. amèn, «amen» (= "e così sia"); e talvolta i semitismi si notano in veri e propri calchi eseguiti sull'ebraico. Nella Settanta i nomi propri ebraici sono per lo più indeclinabili (p.es. tò(i) Abraàm daivo, «ad Abramo»). La paratassi tende a prevalere su qualsiasi forma di subordinazione, il che rende relativamente semplice la comprensione del testo.
Vedi versioni 600-604, alle pp. 524-526 di Saphéneia.