Luciano
Vita Nato a Samòsata (Siria) intorno al 120 d.C. Luciano era un siro che aveva appreso il greco come seconda lingua, dedicandosi agli studi di grammatica e retorica presso le scuole dell'Asia Minore. Lì, fin da giovane, aveva suscitata immediata ammirazione per l'ingegno e la rapida capacità di impadronirsi della lingua greca. A formazione avvenuta, Luciano iniziò la sua carriera di retore itinerante, che lo portò in Asia Minore (soprattutto ad Antiochia, città dove visse fra il 155 e il 162), in Gallia (dove insegnò eloquenza), in Italia (soprattutto a Roma) e ad Atene, città ove dimorò quasi stabilmente dal 163, se si eccettua un incarico di procuratore imperiale in Egitto svolto in tarda età. Morì certamente dopo la scomparsa di Marco Aurelio (180).
Opera Il corpus delle opere lucianee comprende ottanta scritti, alcuni dei quali, però, ritenuti spuri. Si tratta di una produzione multiforme che comprende: a) scritti legati all'attività di retore, con temi tipici della produzione della Seconda Sofistica (Elogio della mosca; Falaride; Tirannicida; etc.) e introduzioni a orazioni tenute in pubblico (le cosiddette "prolaliaì": Sulla sala; Ippia; Armonide; Scita; Bacco; Eracle; Ζeusi; Antioco; etc.); b) dialoghi seri (Ermotimo; Tossari; Anacarsi; etc.) o ironici nel contenuto (Dialoghi degli dèi; Dialoghi degli dèi marini; Dialoghi dei morti; Dialoghi delle cortigiane; Caronte; Vendite di vite all'incanto; Due volte accusato; Ζeus Tragedo; Ζeus Confutato; Il Gallo; Esiodo; Simposio; Saturnali; etc.), spesso aventi come protagonista il filosofo cinico Menippo (Menippo o la necromanzia; Icaromenippo); c) diatribe e trattati (A un ignorante compratore di libri; Su come si debba scrivere la storia; etc.); d) lettere su avvenimenti e personaggi contemporanei (Nigrino; Sulla morte di Peregrino; Alessandro o il falso profeta; Vita di Demonatte; etc.); e) romanzi (Storia Vera; Lucio o l'Asino [quest'ultimo di dubbia paternità]); f) opere in versi (Tragedopodagra; Velocipede [quest'ultima di dubbia autenticità]; etc.).
Caratteristiche generali dell'opera Nel suo dialogo Due volte accusato Luciano racconta di essersi prima dedicato con successo alla produzione tipica della seconda sofistica, legata alla sua carriera di retore itinerante; per poi, più tardi, interessarsi al dialogo filosofico, reso gradevole e faceto attraverso la contaminazione con diversi generi letterari, dalla commedia alla satira menippea (un tipo di composizione, questa, caratterizzata dalla mistione di prosa e versi, sperimentata per la prima volta dal cinico Menippo di Gadara). Attraverso un gioco letterario di diabolica complessità, in cui nessun aspetto della storia e della produzione del passato rimane ignorato, Luciano deride i miti del passato; la religiosità cui nessuno più crede; i valori tradizionali e ormai senza senso; fino alla stessa filosofia delle varie scuole (ma mostra simpatia per un certo filosofo Nigrino, oltre che per Menippo!); e alle nuove religioni (celebre la sua irrisione del cristiano Peregrino o del falso profeta Alessandro). A questa visione dissacrante, tipica di un'epoca di crisi, Luciano non ha solidi valori da contrapporre, lasciando così un fondo di amarezza e pessimismo nei suoi scritti, che molto suggestionò gli autori moderni (Leopardi in primis).
Lingua e stile Un dato ha sempre colpito di Luciano: l'estrema padronanza della lingua attica, mai pedantesca ma viva, e con tanta pluralità di toni quale difficilmente si sarebbe creduto di ravvisare in chi aveva appreso il greco solo come seconda lingua. Luciano è «atticissimo ed elegantissimo» (Leopardi), ma anche lontano dalle pedanterie dei retori atticisti, sempre pronti ad esagerare nell'uso di forme rinvenute (o solo ipotizzate) negli scrittori attici del V-IV sec. a.C. Luciano rifiuta l'uso esagerato della forma -tt- al posto di -ss- (anzi, in un dialogo intitolato Il giudizio delle vocali immaginava che il Sigma citasse in tribunale il Tau, accusato di volerlo spodestare dalla lingua greca!); censura le imitazioni pedantesche del lessico di Platone (nel Lessifane un pedante autore dell'ennesimo Simposio viene obbligato a purgarsi per "vomitare" tutte le forme pedanti della sua imitazione platonica); è capace talvolta addirittura di fabbricare termini nuovi, senza che mai essi appaiano strani o inappropriati. Un autore del genere non poteva, ovviamente, possedere uno stile unico e monotono. Luciano, invece, si impossessa dei diversi stili degli autori del passato, giocando con le forme e richiedendo al lettore una diabolica cooperazione nell'intuire quali siano i diversi modelli da lui tenuti presenti e trasformati in creazione nuova.
Vedi versioni 564-579, alle pp. 499-508 di Saphéneia.